mercoledì 27 gennaio 2016

Pezzi di un puzzle

**Note di Aly

Salve a tutte! Eccomi di nuovo a pubblicare qualcosa di nuovo per voi.
Per prima cosa... mi è mancata l'emozione di pubblicare nuovi capitoli a intervalli regolari, quindi sto già lavorando a qualcosa di più di una semplice OS. In una seconda battuta dovete sapere che... mi siete mancate voi lettrici con i vostri commenti.
Evito i sentimentalismi, dato che questa storia ne è piena zeppa.
Qualcosa sulla storia che segue, prima di cominciare.
Forse può sembrarvi irreale, estrema e assurda... ma come ogni cosa che ho scritto da qualche tempo a questa parte, ha un piccolo fondo di realtà. E' normale che sia fantasia, stiamo parlando di una OS, una storia per allietarvi un pomeriggio. Spero, perciò, che la prendiate nel giusto modo, in un ottica "irreale" per certi versi.
Un'altra informazione, come potrete notare alla fine della storia non è presente il classico THE END. Questo sapete cosa significa per me, la storia è aperta a seguiti, se la fantasia e i personaggi si presteranno a nuovi episodi e se le mie lettrici ameranno ancora ciò che scrivo.
Detto ciò.... Godetevi le emozioni che percepite, se le percepite e fatemi sapere cosa ne pensate.
Come sempre, buona lettura e buona serata.
Aly**






Prendo un sorso del mio caffè nero, rigorosamente senza zucchero, e ti osservo da dietro questo menù rovinato della tavola calda. Chi mi guarda penserà, senza ombra di dubbio, che sia un qualche pedofilo o stalker che è meglio tenere alla larga. Più volte signore con la faccia tosta e l’istinto protettivo di una buona madre mi hanno impedito di seguirti. Spesso e volentieri anziani con il bastone mi hanno fatto cadere solo perché tu potessi sparire dalla mia vista. Impazzivo. Mi voltavo e ti cercavo nella folla per interminabili minuti. Speravo che non andassi troppo lontano, che con un colpo di fortuna riuscissi a beccarti nonostante gli ostacoli. E invece l’avevano vinta sempre i miei incidenti di percorso.
Se solo sapessero la verità.
Ridi e scherzi con la tua vicina di casa mentre lanciate occhiate ammiccanti a qualche ragazzo che entra dalla porta principale, ti aggiusti il lucido sulle labbra e fai finta di baciare lo specchio, un vizio che hai preso da tua madre, che a sua volta ha preso da sua madre e via dicendo. Sei bellissima e così genuina che mi si riempie il cuore d’amore. Ogni volta che riesco a guardarti così da vicino mi devo trattenere dal sedermi al tuo fianco, abbracciarti e domandarti scusa infinite volte. Le mie parole, però, non servirebbero a nulla, ci ho provato un numero così imprecisato di volte che non ci tento più; sprecherei fiato per niente e al momento mi serve per starti dietro e non perderti.
Ho sempre avuto un forte istinto protettivo, sono sempre stato quello che guardava dove mettevi i piedi, ti teneva per non farti cadere o ti aiutava a rialzarti quando inciampavi. Era ciò di cui andavo più fiero, il tuo sguardo gratificante e un abbraccio con tutta la forza che avevi. Tua madre mi ha sempre descritto come un orso, rideva di me e scuoteva la testa come se fosse una cosa da recriminarmi, come se fosse una cosa negativa; ho sempre voltato le spalle a quelle parole, negando con brusche parole questo mancato complimento. Solo ora mi rendo conto di quanto avesse ed abbia, ancora oggi, ragione.
Eppure so per certo di non poter fare nulla, da qui, per poterti proteggere; non posso racchiuderti nelle mie braccia sicure e impedirti di farti male.
Io sono quello che potrebbe farti più male in assoluto.
Io sono la persona che ti ha ferito di più, nella tua vita.
Io sono uno stronzo, un cretino, un inutile essere umano progettato solo per ferire le persone che lo amano.
Se solo sapessi la verità.
Avrei voluto fermarti quel giorno, avrei voluto trattenerti con la forza e farmi ascoltare, ma la mia stretta ti faceva rabbrividire di paura e le tue guance erano così pericolosamente rosse che temevo potesse scoppiarti la faccia per la rabbia.
Feci un passo indietro, allora.
Continuo a farne uno ogni giorno, a mettere più spazio tra noi di ora in ora. Continuo a starti a distanza, senza farmi vedere… sono un uomo invisibile che ti protegge da lontano ed elimina gli ostacoli più duri sul tuo cammino.
No, non è vero.
Questo è ciò che fanno i supereroi nelle serie TV che ti piacciono tanto. Io ti seguo come uno psicopatico, molti passi dietro alle tue spalle, mi nascondo grazie alla protezione di alcune colonne, dentro qualche portone dei palazzi della città, all’interno della macchina che ho cambiato da poco, proprio perché tu non la riconoscessi.
Sono solo un uomo invisibile.
Lo sono, ormai, da troppi anni.
Sono sicuro che nessuno, ancora oggi, ti abbia raccontato la verità su quei giorni. Sono certo che le persone che ti sono vicine, gli amici, la famiglia che conosce la mia versione dei fatti non abbiano detto una sola parola per difendermi.
Ti comporti ancora come se fossi arrabbiata con me, come se la rabbia che hai dentro te la portassi allo stesso modo di una valigia, pronta per rinfacciarmi tutte le cose brutte e cattive che ho fatto.
Quelle belle non le ricordi neppure, probabilmente. I sorrisi, i regali, gli abbracci, i baci e le parole dolci sono state cancellate anni fa.
Eviti ancora la strada in cui c’è il mio palazzo, forse per non rivivere momenti che, per te, sono senza dubbio ricchi di amara delusione. Io invece li custodisco nel cuore come il ricordo più bello della mia vita. Poterti guardare negli occhi, accarezzarti e tenerti tra le braccia erano le cose per cui ogni mattina mi alzavo con il sorriso, deciso a passeggiare con te al mio fianco.
Non avevo bisogno di altro.
Sarebbe bello, un giorno di questi, ritrovarci di nuovo nell’atrio del mio palazzo, tu che mi corri incontro ed io che ti prendo tra le braccia, come se non ti vedessi da anni. Ogni volta era sempre la stessa emozione, lo stesso peso che si levava dal petto e che mi faceva tornare a respirare.
Come fai a non ricordarlo?
Come fai a non capire che quei momenti erano speciali, veri, perfetti?
La delusione che ti ho procurato cancella davvero tutto ciò?
Non ripensi mai a noi?
Io ci penso in ogni istante della mia giornata e mi manchi come l’aria.
Ogni mattina mi sveglio e la prima cosa che faccio è guardare se hai mandato qualche messaggio; ogni mattina gli occhi si riempiono di lacrime pochi secondi dopo essersi aperti.
Sorseggio il caffè chiedendomi cosa stai facendo, se mi pensi, se sarebbe il caso di mandarti un messaggio, chiamarti magari. Un momento più tardi mi costringo a lavorare per non sferrare pugni in ogni dove.
Ma il momento più brutto di tutti è andare a dormire. Quel momento in cui fai il resoconto della tua giornata, nonostante la stanchezza infinita che ti spreme le ossa, nonostante gli occhi si chiudano da soli.
E’ il momento più difficile, non mandarti la buonanotte, non chiamarti, non parlare con te. E’ allora che mi lascio andare e ti penso. Ti immagino al mio fianco, la tua risata, le tue insicurezze, la tua furbizia, la tua dolcezza infinita e il tuo viso meraviglioso con quegli occhi profondi che parlano da soli. Immagino di infilare un DVD nel lettore e di guardarlo con te che appoggi la testa sulla mia spalla, la tua voce che commenta ogni parte cruciale del film, le tue dita che stringono la mia maglietta quando hai paura.
In quei momenti stringo forte gli occhi, eppure le lacrime sgorgano lo stesso.
Mi vanto di essere un uomo di successo, di aver avuto una carriera spettacolare e tutta in salita, le difficoltà le ho sempre superate lavorando duro; ma da quando tu non sei più con me tutto è venuto via con te. Il mio cuore. La mia anima. La mia forza.
Tu hai tutto, solo che non lo vuoi.
Sono così stanco, piccola. Vorrei solo che mi ascoltassi, che ti fermassi davanti al mio palazzo, salissi e bussassi alla mia porta. Sarebbe tutto ciò che potrei volere dalla vita da adesso fino alla mia morte. Una seconda opportunità per essere un uomo migliore.
Ma non succederà mai.
Non faccio più parte della tua vita, non sono più il tuo uomo, non sono più il tuo eroe, non sono più nessuno.
Sai come ci si sente?
No, non credo.
Non so se me lo merito, non so se ciò che è successo sia colpa mia, dopo tutto questo tempo arrivo a crederci anche io. Eppure… non sono sicuro di meritarmi tutto ciò.
Vorrei poterti descrivere questi momenti, quelli in cui mi siedo dietro di te, ti osservo andare avanti con la tua vita e vengo ignorato dalla parte migliore di me.
Sì, perché tu, piccola, sei la parte migliore di me e lo sarai sempre.
Sei bellissima, sei così forte e indipendente, sei splendida.
Avrei voluto esserti al fianco, camminare con te, vivere questi anni insieme e crescere insieme a te. Invece sono qui, nascosto come un cretino a sentirmi più inutile di un sacchetto per l’immondizia. Sbuffo e mi passo una mano tra i capelli, sorseggio un altro po’ di caffè ed ignoro mia moglie seduta di fronte a me che, con sguardo preoccupato e sconfortato, mi guarda con compassione.
La vita è così dura e difficile, per me, che questo è lo sguardo che mi riserva in ogni momento della giornata. Vorrei che la conoscessi, vorrei che le stringessi la mano e provassi a conoscerla, vorrei che guardassi il suo sorriso e ti sentissi a casa, proprio come mi ci sento io ogni volta che la guardo. Ma manca sempre qualcosa.
E quel qualcosa sei tu.
“Edward, vai a parlarci. Siamo qui da più di due ore. Passerà qui tutto il pomeriggio e ormai sono passati anni. La rabbia le sarà passata. Buttati!”
Non stacco gli occhi da te nemmeno per un attimo, la tentazione è forte ma qualcosa mi trattiene.
“Edward, per favore. Fallo per noi. Questa storia non può più andare avanti così, sono anni ormai che la segui, sono anni che stai fuori casa tutta la giornata. Posso solo seguirti mentre segui lei, posso avere solo ciò dal nostro rapporto. Ti stai facendo del male… e ne fai anche a me.”
Mi volto verso Isabella, splendida nel suo abitino color corallo e beige, fresco e colorato giusto per questo caldo afoso che ci fa soffocare. Amo mia moglie, mi sono innamorato di lei la prima volta che l’ho vista, quando ingenua e imbranata finì nel mio ufficio per sbaglio. Ci siamo frequentati per qualche mese, qualche cena al mare, alcune passeggiate pomeridiane nel parco con tanto di gelato; poi abbiamo perso entrambi il controllo. Siamo finiti a letto sconvolti da una passione travolgente, ci siamo amati, coccolati, toccati e confortati a vicenda. Anche la sua vita non è stata semplice, ma ora lei ha me… ed io ho lei. Eppure l’ossessione per te mi sta allontanando inesorabilmente da questo matrimonio, da questa vita che mi sono scelto e dalla donna che amo quasi quanto te. Non so come faccia a sopportare tutta questa situazione, non so come faccia a stare nel mio stesso letto, fare l’amore con me e amarmi. Non so come sia successo, ma è ancora al mio fianco.
Non so per quanto ancora, però.
Li noto i suoi occhi stanchi, i suoi gesti così carichi di rammarico; li vedo gli sguardi compassionevoli e quelli rancorosi, mi sono accorto anche degli occhi colmi di lacrime e del rossore delle sue guance in qualche occasione. Non ho mai fatto nulla, però. Sto mandando a fallimento anche il mio matrimonio, la cosa più bella della mia vita, dopo di te.
Isabella non si merita tutto ciò. Lei è la roccia che mi tiene in piedi in questo girotondo di dolore e amarezza, è ciò che mi fa andare avanti. Senza di lei non saprei come vivere.
Ma l’ho messa da parte, l’ho trascurata come il peggiore dei mariti. E pensare che il giorno del nostro matrimonio ero così felice, così emozionato… mancavi solo tu.

La vedo camminare verso l’altare con quel semplice vestito bianco di pizzo, un fiore speciale, raro, tutto per me. Sono così emozionato che mi tremano le mani. Mi sorride tremolante e lungo la mia schiena corre un brivido caldo che mi tende. Vorrei correrle incontro, stringerla tra le mei braccia e baciarla.
Dentro questa chiesetta c’è poca gente, i miei genitori mi guardano orgoglioso e mia sorella piange di emozione. Suo marito sorride soddisfatto e il mio migliore amico nonché mio testimone, al mio fianco sghignazza per il mio sguardo da pesce lesso.
La madre di Isabella piange e si stringe le mani al petto mentre guarda sua figlia avanzare lungo la navata, meravigliosamente bella ed emozionata. Suo fratello, tornato in permesso dall’Iraq, l’accompagna con sguardo fiero ed orgoglioso, con un profondo affetto che sboccia da quegli occhi così chiari e limpidi, come quelli di Isabella.
E poi ci sono io, io che sono spezzato a metà, che anche in questo giorno felice e stupendo, emozionante e allegro, sono diviso, rotto, frantumato.
Isabella ha ricostruito parte del mio cuore, con il tempo ha guarito tante ferite, ma quella più profonda, quella più grande, solo tu puoi risanarla.
Vorrei tanto che fossi qui, seduta in prima fila, con gli occhioni grandi e teneri mentre mi osservi sposarmi. Vorrei che fossi parte di questo giorno.
Ma non ci sei.
E il mio cuore non sarà mai completamente intero finché mancherai.


“Amore… perdonami!” Scuse patetiche si formano nella mia testa, so già che sarà difficile tenerla legata a me.
“Per cosa, Edward? Per amarla più di quanto ami me? Lo sapevo ancora prima di sposarti, ci convivo da lunghi anni. Ora però ammetto di essere stanca di correrti dietro, mentre corri dietro a lei.”
“Bella, tu… tu…”
Vorrei poterle dire che non capisce, ma è la persona che può comprendermi meglio. Vorrei poterle dire che non sa cosa si prova, ma è la persona che potrebbe ridermi in faccia scuotendo la testa e andarsene indignata a questa accusa. Vorrei poterle dire di lasciare stare, di perdonarmi, ma è la donna che amo e sarebbe come ferirla con milioni di pugnalate.
“Hai tante cose da dirmi, ma non sai come farlo perché è così difficile parlare con me. Come siamo arrivati a questo, Edward? Noi ci amavamo alla follia, abbiamo rischiato tutto per sposarci, abbiamo messo in discussione ogni amicizia, ogni rapporto, abbiamo affrontato le montagne più ardue, scalandole sempre con successo. Ed oggi invece siamo qui a seguire una donna che sarà sempre in mezzo alle nostre vite e che non ci permetterà mai di essere felici. Perché ci stai facendo questo?”
“Bella, noi siamo felici!”
“Lo eravamo, Edward. Lo eravamo fino a che un giorno non ti ha piantato nell’androne del tuo palazzo, mentre tutti gli altri condomini ascoltavano le sue urla isteriche e tu non potevi fare altro che restare impietrito davanti a quello sfogo di rabbia. C’ero anche io, te lo ricordi? Ero nello sgabuzzino del portiere a farmi dare la posta mentre lei ti accusava di essere uno stronzo menefreghista rovina famiglie.” Prende fiato e si sposta una ciocca di capelli dietro l’orecchio, è così dannatamente bella, così meravigliosamente forte e stupenda. “Da quel momento è diventata la tua ossessione e io, ogni dannato giorno, ho perso qualcosa di mio marito, del mio uomo, dell’Edward che amo. La persona che ho di fronte non so neppure chi sia!”
Abbasso la testa sconsolato, non posso che darle ragione.
“Guardala Edward… guardala!” Alzo lo sguardo su di te e ti osservo con attenzione. I tuoi capelli crescono in morbide onde castane, la tua pelle sembra più delicata del giorno prima e i tuoi abiti riflettono la tua personalità forte, decisa e un po’ sbarazzina. “La segui ogni giorno, ti fai gridare contro da ogni anziano che pensa tu possa essere pericoloso, ti fai chilometri a piedi ogni sabato che lei passa in un grande magazzino con le amiche a fare shopping. Mi stai preoccupando. L’uomo che conosco sarebbe già andato a quel tavolo, orgoglioso e fiero del nome che porta e l’avrebbe costretta ad ascoltarlo. Ma l’Edward con cui sono seduta a questo tavolo da sette anni a questa parte vive come se l’unica occupazione della sua vita fosse essere invisibile ai suoi occhi!”
E’ vero. E’ quello che sono, è ciò che faccio.
“Lo vuoi un consiglio?” Sposto gli occhi per guardare il mio amore. “Beh te lo do lo stesso. Vai lì, manda via la sua amica e parlale. Rivolta le carte in tavola, prendi in mano il gioco, fai qualcosa per la tua vita. Ti stai lasciando trascinare senza fare nulla. Questo non sei tu. Stai perdendo anni preziosi, stai perdendo una parte importante della tua vita e lo rimpiangerai per sempre.”
“Amore…”
“Vado a casa, devo ancora preparare la cena e fare una lavatrice con i panni sporchi. Ti lascio qualcosa nel forno per quando torni.”
“Bella, aspetta! Non andare!”
“Edward sono stanca. Sono stanca di molte cose. Sono stanca del fatto che usi ancora i preservativi quando facciamo l’amore, sono stanca che tu mi faccia prendere la pillola per non rischiare una gravidanza in nessun caso, perché non sei ancora pronto. Siamo sposati da sette anni Edward, il mio orologio biologico sta rallentando, fino a fermarsi completamente. Sono stanca di non cenare con te da mesi, di non addormentarmi al tuo fianco mentre guardiamo un film o qualsiasi stupido programma alla tv. Sono stanca di non concedermi qualche vacanza perché tu devi stare qui, seguirla, proteggerla, amarla a distanza. Sono così stanca che sto pensando di andare da mia madre a tenerle compagnia finché non mi schiarisco le idee. Quando ti ho sposato ti conoscevo, conoscevo lei e sapevo cosa significava per te. Quando ti ho sposato avevo messo in conto che non saresti stato mai completamente mio. Ma oggi, oggi sono stanca e delusa. Ti sei persino dimenticato che un mese fa era il nostro anniversario di matrimonio e non voglio neppure immaginare cosa, in quella testa, avrai dimenticato o archiviato. Fammi un favore, va’ a parlarci e dai un taglio a questa situazione. Non so se posso sopportare ancora a lungo!”


Mi alzo dal tavolo e la fermo, prima che sia troppo tardi. La attiro nelle mie braccia e mentre la stringo forte le sussurro quanto mi dispiace. Mi dispiace davvero, per ogni cosa. Sento le sue lacrime bagnarmi la camicia e sento le sue dita stringersi sul tessuto adagiato sulla mia schiena.
“Ti prego amore, scusami. Mi farò perdonare, lo giuro. Non tornare da tua madre, resta con me, ti prego. Io ti amo, ti amo moltissimo. Sei… sei ciò che mi permette di essere ancora qui, di restare in piedi, di amare ancora. Sei la mia forza e ti chiedo scusa. Ti chiedo mille volte scusa per averti ferita, trascurata e lasciata in disparte. Prometto di rimediare, prometto che non succederà più. Sarai la mia priorità da oggi in poi!”
Mi si riempiono gli occhi di lacrime, la paura di perderla è così forte ora che potrei inginocchiarmi e pregarla di non lasciarmi.
“Se vuoi rimediare, Edward, va’ a parlarle. Non perdere ancora tempo. Fallo per me e fallo per te. Se potessi tornare indietro… se potessi parlare con mio padre e chiedergli scusa o ascoltarlo o anche solo permettergli di restare nella mia stessa stanza… lo farei. Ma lui ormai non c’è più e questo è uno dei rimpianti più grandi che mi porto dietro. Lo sai bene.”
“Lo farò, te lo prometto.”
“Ora Edward, oggi. Non rimandare a domani. Io ti aspetto a casa, ti amo.”
La bacio, intreccio la lingua con la sua in un incontro disperato. La amo, la amo tantissimo.
Quando esce dal locale mi giro a guardarti e un secondo dopo le tue spalle si irrigidiscono e ti volti verso di me lentamente, come se sapessi di trovare una brutta sorpresa alle tue spalle.
I tuoi occhi diventano due fari verdi che mi incatenano. Inizi a tremare visibilmente e la tua bocca si apre in un’espressione di pura sorpresa. Poi nei tuoi occhi un tumulto di emozioni: paura, rabbia, rammarico, tensione e dolore.
Sei sempre stata così limpida per me, è sempre stato così semplice leggerti.
I nostri occhi non si sono mai incontrati da tre anni a questa parte, quando al funerale di tua madre mi guardasti con rabbia e dolore. Io me ne stavo lontano, in mezzo alla gente comune, così distante per non avere la tentazione di stringerti tra le braccia e sussurrarti che sarebbe andato tutto bene. Il tuo sguardo, quel giorno, mi uccise mille volte.
Ed ora la scena si ripete, con il triplo del carico emozionale che potevamo sperare.
Mi avvicino di un passo e tu ti irrigidisci afferrando con una stretta il braccio della tua amica.


Piccola, non voglio farti del male.
L’odio che scorgo nei tuoi occhi mi rallenta, mi impaurisce, tremo così tanto che sembra esserci, attorno a me, un terremoto. Eppure tutti sono fermi, i loro sguardi puntati su ciò che facevano prima. Nessuno si cura di noi, tesoro. Nessuno si rende conto di quello che sta accadendo in questa sala.
Mille ricordi affollano la mia testa, ma prima che possa piegarmi in due dal dolore li scaccio, così come trattengo le lacrime che vorrebbero scorrermi dagli occhi.
“Elizabeth” Sussurro con voce roca ed emozionata, quando ormai sono ad un passo da te. I tuoi occhi sgranati e impauriti mi fissano, sei sconcertata. Poi la tua amica ti scuote e mi rivolgi uno dei tuoi sguardi rabbiosi.
“Cosa ci fai tu qui?”
Vorrei dirti che sono sempre qui, sempre al tuo fianco, sempre, in ogni momento della tua vita. Invece mento, perché non è il momento giusto.
“Stavo prendendo un caffè con Isabella. Come stai?”
“Prima stavo bene, ora vorrei che sparissi dalla mia vista!”
“Betty! Piantala!” La tua amica ti tira uno schiaffo sul braccio e mi sorride alzandosi, afferra la borsa dalla sedia sotto il tuo sguardo sgomento. “Salve signor Cullen, è bello rivederla. Sto andando a fare la spesa, può fare compagnia a Betty, così ha un passaggio per tornare a casa!”
“Mery dove cazzo vai?” Ti ho sentita pronunciare parolacce spesso e volentieri in questi anni, da lontano, eppure non mi sono ancora abituato.
“Grazie Meredith, buona serata!” Mi volto verso di te con un cipiglio preoccupato. “Possiamo parlare, per favore?”
“No, certo che no. Sono passati sette anni, Edward. Non ti ho parlato in tutto questo tempo e non lo farò neppure oggi. Vado a vedere se c’è un taxi che mi accompagna a casa!”
“Piccola per favore, siediti e ascoltami!” La gente aveva iniziato a volgere gli sguardi verso di noi e ovviamente io sono quello che passa per uno psicopatico.
“Non sono piccola e sicuramente non lo sono più per te. Fattene una ragione Cullen, stammi alla larga!”
Lasci venti dollari sul tavolo e con la borsa in spalla cammini a passo spedito verso la porta. Impreco tra me e me, incrocio le dita che nessuno si frapponga nella nostra distanza e ti seguo non prima di aver lasciato trenta dollari per il mio conto e il tuo, riprendendo i tuoi soldi.
“Elizabeth, fermati!”
“Vattene, Cullen!”
“Elizabeth! Elizabeth!” Nonostante corra ogni mattina all’alba sono ancora fuori forma per starti dietro, in più molta gente mi viene addosso, quasi per sbaglio.
“Devi farti la visita dall’otorino, Cullen. Vattene, ho detto!”
“Elizabeth, fermati! Dannazione fermati!” Con il fiatone al massimo riesco comunque ad accelerare l’andatura fino a bloccarti il polso tra le mie dita e fermarti. Mi guardi preoccupata e ansiosa.
“Lasciami.”
“Fermiamoci a parlare, ti prego!”
“Non abbiamo nulla da dirci. Lasciami o mi metto a urlare!”
“Dannazione! Sei cocciuta peggio di un mulo!”
“Che ironia! Lasciami, Edward!”
“Senti, so che nessuno ti ha detto nulla, che nessuno ti ha spiegato… neppure tua madre. Vorrei solo che mi ascoltassi, adesso che è passato tutto questo tempo. Ti sto pregando!”
“Puoi pregare quanto vuoi. E lascia stare mia madre!”
“Giusto, lei è una santa, io invece sono il padre cattivo e stronzo, menefreghista, irresponsabile e rovina famiglie!” Il tono arrabbiato con cui sbotto contro di te ti fa indietreggiare quel tanto che riesci, ancora con la mia mano ferma sul tuo polso.
“No, ti sbagli! Ti sbagli perché tu non sei mio padre, tu non sei nessuno. Nessuno hai capito?”
Resto senza fiato e lascio andare il tuo polso di scatto. Sei libera di andartene ma resti impalata a guardarmi con gli occhi esageratamente sgranati. Faccio un passo indietro amareggiato e deluso. Colpito dalle parole più dure che potessi sentire, impreparato a sentirmi un estraneo nella vita di mia figlia. In cuor mio avevo sempre la speranza che seppur invisibile, seppur lontano dalla tua vita mi considerassi ancora tuo padre. Ero convinto che il legame che si è creato in dodici lunghi anni potesse, in qualche modo, restare ancorato dentro di te senza lasciarti mai. Invece non mi consideri tuo padre. Non sono nessuno.
Non sono l’uomo che ti ha stretto tra le braccia quando tua madre ti ha messa al mondo, non sono stato io a cambiarti il primo pannolino, non sono stato io a svegliarmi nelle notti piagnucolose quando facevi i capricci. Non ero io quello che ogni mattina ti accompagnava all’asilo fiero di tenerti tra le braccia, non ero io che ti accompagnava al parco, ti aspettava giù da ogni discesa o ti spingeva sull’altalena. Non sono l’uomo che ti ha stretto tra le braccia ad ogni pianto, che ti ha coccolata durante la notte, che ti ha protetta da ogni pericolo. Io non sono nessuno.
Eppure nella mia casa c’è una camera che porta il tuo nome, ancora piena dei tuoi abiti di bambina e dei peluche che ogni giorno ti portavo a casa. C’è ancora quel ritratto di noi, tu seduta sulle mie gambe mentre mangiamo un gelato con i nasi sporchi di panna e due grandi sorrisoni. C’è la tua biciclettina in garage, fucsia e nera perché rosa era troppo da femmina, ma nera era troppo triste.
Io non sono nessuno.
Eppure ricordo l’attimo esatto in cui con le tue ditina hai stretto il mio indice e l’hai portato alla bocca per mordicchiarlo, anche se eri senza denti; ricordo il momento in cui i tuoi occhioni chiari si sono aperti e ti ho sorriso, dandoti il benvenuto al mondo. Ho stampato nella mente l’immagine di te stesa nel mio letto mentre guardiamo un cartone animato di Barbie e, a soli cinque anni, eri già così intelligente da trovare banale un cartone del genere.
Se io non sono nessuno… tutti questi ricordi sono niente. Sono solo immagini di una vita troppo lontana da poter afferrare. Se io non sono nessuno, ogni momento che ho vissuto è paragonabile al nulla, all’indifferenza, all’inutilità. Fino a qualche ora fa avrei pagato oro pur di avere anche solo un’ora di tempo di quei giorni, poterti stringere forte, vederti sorridere, sentire la tua voce che mi chiama papà.
Ora ho perso tutto. Niente ha più valore.
Io non valgo nulla.
Non sono tuo padre.
Sono nessuno.

Mi allontano da te con sguardo smarrito, mi sento addosso una stanchezza infernale, un’amarezza infinita e una delusione enorme. Cosa posso fare adesso?
Ho perso tutto, anche l’ultimo briciolo di speranza che mi restava, anche quel lieve filo che mi teneva legato ai ricordi. Tagliato. Spezzato. Bruciati in un lampo.
Ti avvicini, preoccupata e dispiaciuta.
“Edward…”
Non dovresti chiamarmi per nome, dovresti chiamarmi papà, ma non lo fai più da sette anni e mai più lo rifarai. Scuoto la testa violentemente arretrando lungo il marciapiede.
Volevo solo parlarti, volevo solo spiegarti. Era tempo di sotterrare l’ascia di guerra e farti capire che non è colpa mia, che non è colpa di Isabella, che non è colpa tua. Invece non sei ancora pronta e, probabilmente, mai lo sarai.
“Non pensavo che portassi ancora tutto questo rancore, non pensavo fossi ancora così arrabbiata né che mi considerassi nessuno. Non mi vedrai più, lo giuro! Addio Elizabeth.” Incapace di restare a qualche metro da te ancora a lungo ti volto le spalle e a testa bassa, con sguardo vacuo, torno a casa.


“Edward, che diavolo è successo?”
Isabella mi fa entrare in casa e mi accoglie tra le sue braccia, singhiozzo incapace di sopportare oltre e mi lascio andare appoggiandomi a lei.
“Shh. Shh. Amore si risolve tutto. Vedrai che andrà tutto bene. Vieni sediamoci sul divano!”
Vergognandomi della reazione che ho avuto mi copro il volto con le mani prendendo posto, di peso, sul divano.
“Hai parlato con tua figlia?”
“Non è mia figlia, lei non mi considera suo padre, non sono nessuno per lei.”
“Oh Edward, mi dispiace. Mi dispiace tanto!”
Non so quante ore resto fermo in quella posizione, non ho fame, non ho sete, ho solo voglia di dormire e dimenticarmi ogni cosa. So già, però, che farò fatica a prendere sonno.
Il campanello d’entrata mi riscuote dallo stato in cui sono caduto, ma prima che possa anche solo pensare di alzarmi Isabella è alla porta.
“Oh, ciao. Ehm… non ti aspettavamo. Vuoi entrare?” La voce imbarazzata di mia moglie mi preoccupa, aspetto che succeda qualcos’altro e poi vado alla porta. Mi gelo, però, quando sento l’altra voce.
“No, non credo sia il caso. Vorrei solo sapere se sta bene, dato che prima è fuggito via e non sembrava stare benissimo. Era pallido e sconnesso.”
“Elizabeth tuo padre non sta bene, vuoi entrare a bere un caffè?”
“Non è mio padre, Isabella!” Non ho la forza di alzarmi, soprattutto dopo queste parole.
“Senti io non sono nessuno, ma sono stanca di vedervi così. Tu da una parte e lui dall’altra. Lo sai che sono anni che ti segue disperatamente? Ti segue Elizabeth. Lascia me a casa e ti osserva da distante, si è beccato una ventina di denunce, è finito in ospedale due volte e ogni notte quando torna a casa è sempre più distrutto. Dovete parlare.”
“Isabella!” Non riesco a trattenermi, con un balzo sono in piedi e mi fiondo nel corridoio. Non doveva dirle queste cose. Non ora, non dopo quello che Elizabeth ha detto di me.
“Edward, scusa ma…” Il suo sguardo dispiaciuto e mortificato mi stringe il cuore, non posso rimproverarla, non posso avercela con lei, sta facendo di tutto per me, ha sempre fatto di tutto per me.
“Non importa, lascia stare. Ho un po’ di fame, ti va di preparare qualcosa di veloce?” Annuisce composta e poi si volta verso Elizabeth.
“Ti fermi per un boccone veloce?”
“No, grazie.”
E’ una situazione paradossale, soprattutto perché hai più confidenza con mia moglie che con me. Stai bene attenta a non superare la soglia di casa anche quando Isabella è in cucina.
“Volevo… ehm… volevo sapere se stavi bene. Oggi sei scappato e…” Vorrei ridere, è una situazione comica da un lato, eppure non trovo le forze.
“Starò bene. Domani sarà un nuovo giorno, giusto? Le cose dopo una bella dormita dovrebbero sembrarmi migliori. Giusto?”
“Ho sempre pensato che chi ha inventato questo detto fosse ubriaco!” mormori e fai in modo che mi scappi un sorriso. Poi un lieve profumo di bacon arrostito mi fa borbottare lo stomaco e anche il tuo brontola per la fame.
“Vuoi entrare e mangiare un boccone?”
“No, grazie. I nonni mi aspettano e devo prima passare da un amico…”
“Va bene.” Mi mancano le parole, improvvisamente la gola si è seccata. “Per cui, grazie di essere passata a… vedere come stavo.”
“Sì, io… ecco, sarei passata anche per un altro motivo. Il nonno e la nonna… mi hanno raccontato qualcosa e volevo scusarmi.”
Scusarti? Sei venuta qui per scusarti. Precisamente per cosa? Temo che possa sfuggirci la situazioni dalle mani, per cui cautamente annuisco con il capo e rilascio un sorriso mesto.
“Sì, beh… scuse accettate!”
“Non mi chiedi per cosa sono?”
“Ho paura ad ascoltare la tua risposta, Elizabeth. Temo che non mi piacerà e vorrò tornare indietro nel tempo e, ancora una volta, avere una seconda possibilità. Ma la vita non le concede e le persone, mi sono accorto, neanche.”
“Una seconda possibilità. Anche io ne ho chiesta qualcuna alla vita, eppure mi ha sempre risposto picche.”
“E cosa hai fatto in quel caso?”
“Me la sono presa con la forza, in alcuni casi, in altri… ho rinunciato con il cuore spezzato.”
“Sei proprio cresciuta forte e determinata.”
“E tu sei diventato l’uomo che non mi aspettavo di trovare dopo sette anni.”
“Cioè?”
“L’ombra di te stesso e con un matrimonio in declino, ossessionato dal tuo passato.” Non rispondo, sapendo che hai perfettamente ragione. Il tuo stomaco brontola ancora e mi accorgo, guardando l’orologio che orna una parete in entrata, che sono le nove passate.
“Sei sicura che non vuoi entrare e mangiare qualcosa? A giudicare dall’odore che proviene dalla cucina, Isabella sta preparando bacon grigliato, uova strapazzate con formaggio fuso, pane integrale e insalata di patate e pollo. Un piatto che ti stende!”
“Non credo che sia il caso, Edward.” Dopo l’ennesima stilettata che mi fa allontanare vedo arrivare in mio soccorso Isabella, con una macchia di maionese sulla maglietta e un grande sorriso sul volto.
“Elizabeth, per fortuna sei ancora qui. Ho cucinato troppe uova e l’insalata di patate e pollo domani non è più buona, odio sprecare il cibo. Entra e mangia un boccone.”
“Isabella, è gentile da parte tua ma…”
“Ma niente scuse. Forza Edward, vai a lavarti le mani e accompagna Isabella in bagno!”
Tu borbotti qualcosa dietro alle mie spalle, mentre costretta ad entrare in casa lasci le scarpe in entrata e prosegui a piedi scalzi.
“Come se non sapessi dov’è il bagno qui dentro! Isabella è molto furba, mi ha incastrata, non è vero?” Ridacchio, per la prima volta nella giornata, orgoglioso di mia moglie.
“Isabella è molte cose, ma la furbizia è una dote che mi fa tremare le ginocchia, ogni tanto!”
“Sarebbe bello avere un’amica come lei, sembra sveglia, sa cucinare ed è furba.”
“E’ a tua disposizione, quando vuoi.” Le dico mentre entro in bagno a lavarmi le mani per poi lasciarla libera qualche minuto. Torno da mia moglie sorridendo appena, la stringo in un caldo abbraccio appoggiando le mani sulla sua pancia e le bacio la guancia.
“Ti amo Isabella. Ti amo da morire!”
“Vedrai che andrà tutto bene!”
Entri in cucina schiarendoti la voce.
“Questo posto non è cambiato di una virgola, a parte il corridoio dove ci sono quadri splendidi!”
“Li ha disegnati Isabella, ha talento, vero?” Ti dico baciando la testa di mia moglie.
“Sono solo scarabocchi che faccio quando tuo padre mi fa incazzare. Prendete posto, ho una fame che potrei mangiare un’intera macelleria!”
Bella ci riempie i piatti e poi si siede, io e te siamo di fronte, mentre lei si siede al tuo fianco sorridendoti amorevolmente. Ha sempre voluto dei figli, ha sempre desiderato essere mamma e l’idea che tu potessi vederla come tale l’ha sempre emozionata. Eppure tu l’hai odiata tanto quanto odi me, se non di più.
“Allora Elizabeth, raccontami, l’università ti piace? Il lavoro è appagante? Hai qualche hobby particolare? Ti piacciono ancora i cartoni animati dei supereroi?” Mia moglie ti rivolge un’infinità di domande e tu scuoti la testa sorridendo imbarazzata.
“E’ vero che mi hai seguita allora!” Mormora verso di me.
“Ehm, ho dimenticato di mettere l’ammorbidente in lavatrice, torno subito!”
Grazie amata moglie, per infilarmi in questi cammini tortuosi e poi lasciarmi da solo. Sei un’esperta in questo.
“Sì, sì l’ho fatto. Sono sempre stato a distanza, invisibile. Ma ti ho sempre seguita e se vuoi denunciarmi… fa’ pure.” Borbotto infilandomi una forchettata di uova in bocca.
“Veramente la cosa mi lascia piacevolmente stupita.”
“Perché?”
“Come ho fatto a non vederti?”
“E’ facile, Elizabeth. Tu hai messo una pietra sopra di me dal momento in cui hai abbandonato la hall del mio palazzo. Mi hai dimenticato. Mi hai ignorato. Mi hai cancellato dalla tua vita. E’ così che è andata, no? E’ così che ho smesso di essere tuo padre e sono diventato nessuno.”
“Edward…”
“Non mi devi nessuna spiegazione, sono passati così tanti anni che è giusto che sia così.” Il cibo non mi è mai sembrato così poco appetitoso come in questo momento. Dopo sette anni mi ritrovo di fronte a te, più bella che mai e più forte di sempre, e non so come reagire.
“Credo che Isabella abbia ragione, dobbiamo parlare.”
“A cosa servirebbe? A farci altro male? Sono certo che tu abbia sofferto tanto quanto ho sofferto io, sono certo che tu mi abbia odiato fin nel profondo ogni giorno della tua vita. Sono sicuro che il dolore che hai passato non lo scorderai mai e non potrò mai ricucire le ferite inferte. Cosa parliamo a fare? Sprechiamo fiato, ci facciamo male, ci illudiamo di poter risolvere… la verità è che non succederà mai.”
“Non sei mai stato così negativo nella tua vita, come mai ora? Perché pensi che non possa risolversi nulla?”
“Perché hai 19 anni, tesoro, io ne ho 37 e sette anni di queste nostre vite sono stati designati a ignorarci. Tu non mi consideri neppure più tuo padre. Cosa c’è da risolvere? Cosa posso dirti, cosa posso fare ora, che non ho potuto e non potevo fare ieri?”
“Quando la mamma è morta mi ha lasciato una lettera, avrei dovuto aprirla il giorno del mio diciottesimo compleanno, così come nei più lacrimevoli film che passano in tv. La verità è che il nonno era stanco di questa situazione e mi diede la lettera subito dopo la sua morte. Sai, da padre non riusciva a comprendere come facessi, tu, a starmi così lontano. Infervorato dalla rabbia nei confronti della mamma mi fece leggere la lettera.”
L’appetito mi è passato completamente, perfetto.
“Mi aspettavo che dentro ci fosse la spiegazione che sia i nonni sia tu mi avete tanto offerto ma che io non avevo mai voluto ascoltare. Invece mia madre mi ha solo detto che se avesse potuto tornare indietro avrebbe cambiato certe cose, che non rimpiangeva il fatto di avermi avuta ma le modalità e tutto ciò che è successo dopo. Mi scrisse di concederti una seconda possibilità, quando sarei stata pronta. Ma niente di più. Non ho parlato con il nonno prima di qualche mese. Poi mi feci raccontare ogni cosa.”
Rabbrividii. E così lo sapeva, ma non era tornata da me.
“Quel giorno ti sei fatto insultare, ti sei fatto odiare senza colpa. Ed io mi sentivo così in colpa, mi vergognavo così tanto che non sapevo come chiederti scusa.”
“Elizabeth le cose sono degenerate in fretta, eri piccola e non potevi capire a fondo.”
“Sì, ma da quando ho scoperto la verità sono passati anni e, come puoi vedere, non sono più tanto piccola.” Continui a mangiare piccoli bocconi, sposti la roba di qua e di là nel piatto senza sfamarti completamente, così come sto facendo io. “Vorrei solo averti ascoltato prima o aver trovato il coraggio di venire qui. Ora vorrei ascoltare la tua versione!”
“Cos’è cambiato da questo pomeriggio quando mi dicevi di andarmene, di lasciarti stare, che io non sono nessuno?” Non dovrei farmi invadere dalla rabbia… eppure è quello che accade ora.
“Oggi ero sconvolta, non mi aspettavo di vederti lì, non mi aspettavo che Mery se ne andasse lasciandomi da sola ad affrontare le mie stronzate e le mie paure più grandi. Poi ti ho guardato dopo averti detto quelle cose così brutte… e mi sono chiesta come mi sarei sentita io se tu mi avessi detto che non sono nessuno per te, che non sono più tua figlia. Il nonno è stato cruciale nella decisione di venire a parlarti. Mi ha fatto sentire in colpa, più di quanto non lo fossi già!”
“Tuo nonno è un uomo particolare, quando frequentavo tua madre giurava di spaccarmi la testa se solo le avessi fatto del male. Quando disse ai suoi genitori che era incinta, sua madre era esaltata mentre tuo nonno per poco non fece un infarto.”
“Eravate molto giovani!”
Ed eccoci arrivati a parte della questione. Se solo mi avessi lasciato parlare anni fa, piccola, oggi non saremmo a questo punto.
“Giovani, immaturi, ingenui, stupidi e di sicuro irresponsabili. Mettere incinta Victoria è stato l’errore più grande della mia vita fino a qualche anno fa, ma allo stesso tempo è stata la gioia più grande che potessi desiderare.”
“Come possono coincidere le due cose?”
“Beh, tu hai diciannove anni piccola, è come se avessi già una bimba di due anni. Tua madre ti ha avuta a diciassette anni, io ne avevo appena compiuti diciotto. Dovevo ancora prendere il diploma e fare i piani per il mio futuro, non sapevo cosa volevo diventare, non sapevo dove volevo studiare… Non sapevo nulla. Zero assoluto. Eppure ti stringevo tra le braccia, ti cullavo la notte e giocavo con te quando sei cresciuta. Ho comunque preso le mie decisioni importanti, ho studiato, mi sono laureato e ho preso il posto di mio padre al comando della sua azienda per consentirgli di avere più tempo libero. Sono riuscito a fare tutto questo anche se quando tornavo a casa c’era una piccola peste di qualche anno che mi correva incontro e non mi lasciava stare neppure quando facevo la doccia.”
“Deve essere stato impegnativo…”
“Impegnativo, difficile, a volte soffocante…”
“Quindi… la mamma aveva ragione. Vi ho davvero rovinato la vita?”
“No, tu l’hai solo resa più piena, più vivace. Hai permesso che valesse la pena di andare avanti ogni giorno, superare le difficoltà e sforzarsi di essere persone migliori, solo per te. Quando diventi padre il tuo centro nella vita cambia. Non pensi a lavorare per te stesso, non pensi a comprare vestiti per te stesso, andare fuori con gli amici a bere o far tardi la sera. Quando diventi padre tua figlia è il centro perfetto del tuo universo. Tutto ruota attorno a quel piccolo esserino che ha bisogno di amore e protezione. Dimentichi gli amici, ti accontenti di vederti per un caffè dopo le lezioni; non hai bisogno di avere quindici paia di jeans o quaranta camice ordinate nell’armadio, ti basta avere sempre un peluche da portare a tua figlia.”
“Come fai a dire che non hai la vita rovinata? A me sembra un disastro…”
“E’ perché non hai mai stretto tra le braccia il sangue del tuo sangue, perché non hai mai dato un biberon a tua figlia, non ti ha mai sorriso o gorgogliato qualcosa. Non capisci la gioia di essere padre finché non comprendi le preoccupazioni che vengono ripagate dalla felicità nel volto di tua figlia. O quando dopo una giornata passata fuori di casa apri la porta e lei ti corre incontro saltellando e riempiendoti la testa della sua giornata infinitamente più semplice della tua. Ed ogni volta che non riesce a dormire sale nel tuo letto impaurita e vuole solo che tu la stringi forte… è allora che ti senti un eroe. Questa è la gioia. Se tornassi indietro io non cambierei proprio nulla di quel periodo. Rifarei lo stesso errore con Victoria per poi ritrovarmi te tra le braccia. Tu sei davvero la parte migliore di me, Elizabeth.”
Mi commuovo e mi emoziono mentre ti parlo, ma come potrebbe essere diversamente? Ho la testa così assurdamente piena dei nostri momenti insieme.
Ti schiarisci la voce e sbatti le palpebre per mandare via lacrime che non vuoi che veda. So che le mie parole ti hanno commossa ed emozionata, lo vedo dalle tue mani che tremano e dalle tue gambe che non riescono a stare ferme.
“La mamma mi ha sempre detto che sono stata un errore e che nessuno dei due tornerebbe indietro e rifarebbe lo stesso errore una seconda volta.”
“Elizabeth, la mamma era una persona molto egoista, egocentrica e viziata. E’ cambiata quando sei nata tu, ma con il tempo è tornata alla sua vera essenza. I primi anni sembrava così innamorata di te che stupiva persino i nonni, poi le cose sono cambiate… e con il suo cambiamento sono cambiato anche io. Non avevo più voglia di stare al fianco di una persona che ti lasciava in disparte, che pensava ad uscire con le amiche o a festeggiare piuttosto che godersi il tempo con te. Il college l’ha rovinata, il suo corpo perfetto e il suo essere maliziosamente attraente ha fatto sì che i ragazzi la puntassero, le amiche arrivarono a frotte e d’un tratto la vita di casa non faceva più per lei. Era così poco il tempo che passava con te che mi stupisco del legame che si era creato fra voi.”
“Il nonno non mi ha mai raccontato queste cose, né tanto meno la mamma. Quindi io con chi stavo quando ero piccola?”
“Mio padre ha affittato per noi un appartamento poco distante dal campus universitario, che guarda caso distava poco anche da casa loro. Finché non terminavano le lezioni stavi con i nonni, poi venivo a prenderti.”
“E come riuscivi a mantenerci?”
“I nonni ci hanno aiutato. I miei suoceri riempivano il frigorifero, mio padre pagava i conti. Questo fino alla laurea. Poi ho sempre provveduto io a noi due ed ho ripagato i debiti con i nonni.”
“Guadagni così tanto?”
“Mio nonno aveva lasciato un fondo a mio nome che potevo toccare solo nel momento in cui mi sarei laureato, non voleva che i soldi andassero a un nipote scapestrato che non avrebbe mai preso in mano le redini della società.”
“Poi cosa successe? Come si arrivò a… quel momento?”
“Passavi quasi tutto il tempo con me, però tua madre aveva iniziato a volerti tenere durante la settimana. In quel periodo conobbi Isabella e quando non stavo con te io e lei ci vedevamo. Non era nulla di serio in quel momento. Victoria però non la prese bene. Disse che avevo delle responsabilità, che dovevo stare con te, che non potevo lasciarti a lei per uscire e gozzovigliare in giro. In sostanza voleva averti con sé ma non voleva condividere me con altre donne.”
“Ti amava!”
“No Elizabeth. No. L’amore è diverso. L’amore è profondo e sincero, metti l’altra persona nel tuo campo visivo, inondi il tuo cuore di lei, qualsiasi cosa è per lei e verso di lei. E’ come l’amore per una figlia, solo un po’ meno profondo.”
“Quindi la mamma non ti amava, però ti voleva.”
“La mamma voleva tutto. Ha cominciato a farmi liti su liti sempre, ogni volta che ci vedevamo per te. Mi mandava messaggini e mi imponeva di tornarmene a casa quando ero con Isabella. Più volte ti lasciava con i nonni e ci seguiva. Era diventata pesante, ossessionata.”
“Non capisco, anche il nonno non ha saputo dirmi nulla di questa parte.”
“Quando tua madre è andata al college difficilmente tornava a casa, con una scusa o un’altra restava a dormire in qualche camera, probabilmente ragazzi e non amiche. Quando tornava, di rado, si concentrava su di me… ritornava ad essere carina, seducente, sexy e legata a me. Poi ripartiva, senza aver passato molto tempo in tua presenza. Ti riempiva di regali però, quello sì. Quando fui ben impiantato nella società di famiglia decisi di acquistare questo appartamento, ma lei voleva una villetta, piscina, parco macchine e una zona chic. Io non ero disposto a fare un investimento del genere. Litigammo e ci separammo una volta per tutte. Aveva comunque visto che era facile dividere le attenzioni su di te, un po’ io e un po’ lei. Per cui con il primo stipendio affittò la villettina dove stavate. Ma ogni volta che mi vedeva ci provava… e intanto stava con altri uomini.”
“E tu non le hai mai detto nulla?”
“Elizabeth, io non amavo tua madre. Non l’amavo prima e non l’ho amata dopo. Affetto, quello sì, ma amore no. Isabella è la donna che amo, quella che ho deciso di sposare e che voglio al mio fianco per tutta la vita. E’ la donna che ha sopportato sette anni di esclusione e rinunce, il mio cuore spezzato e un uomo rotto. Eppure è ancora al mio fianco, mi prepara la cena, mi sorride, mi stringe forte e non mi abbandona mai.”
“Vorrei tanto trovare una persona così… E’ questo ciò che ti ha fatto innamorare di lei?”
“No!” Ridacchio scuotendo la testa. “Mi sono innamorato di Isabella perché ha mille difetti. La notte si avvinghia a me scaldandomi come una stufa, inciampa ogni tre passi, si mangia le pellicine delle unghie ed è maledettamente disordinata.”
“Ti ho sentito!” Urla dal bagno mia moglie facendoci scoppiare a ridere.
“Però è bella, sensuale, forte, determinata, intelligente. Leale. Affettuosa. E’ una donna passionale, quando ama qualcuno non può fare a meno di dargli tutto. Io ho tutto di lei, il suo cuore, la sua anima, la sua forza, il suo coraggio… tutto. E poi ha un sorriso meraviglioso e gli occhi più belli che ho visto in una donna, dopo di te. E mi ama. Mi ama così tanto da sopportare che suo marito abbia una figlia con un'altra donna. Mi ama così infinitamente da superare con me ogni difficoltà e sette anni di un intenso dolore.”
“Ora capisco. Non hai mai parlato così della mamma.”
“Perché non l’amavo, piccola!”
“Quindi lei era gelosa, ti voleva per sé, ma tu volevi Isabella. Io credevo ti amasse. Come siamo arrivati a non parlarci per sette anni?”
“Ah tesoro, se non me lo dici tu!” Scuoto la testa ma dato che è il momento delle confessioni è il caso di lasciarsi andare e farla finita. “Io e tua madre litigavamo da giorni, per telefono, per strada, nel mio appartamento. Non importava a quale ora del giorno e della notte. Non le fregava nulla se con me c’era Isabella o se fossi solo. Voleva litigare, poi si metteva a piangere e pretendeva che la confortassi e facessimo pace. Non andò mai come avrebbe voluto. Ero ormai già cotto di Isabella e non avevo intenzione di tradirla. Una sera eri da me, l’ennesima sera che ci sentivi litigare. Te ne sei stata nella mia camera con Isabella mentre tua madre urlava come un’isterica in salotto, diceva cattiverie verso di me.”
“Sì, ora ricordo. Urlò che eri un irresponsabile, uno stronzo, un bugiardo e un traditore. Disse che non mi volevi e che quando avresti sposato Isabella ti saresti dimenticato di me perché ero solo un peso per te. Disse tante altre cose… brutte.”
“Erano tutte bugie Elizabeth. Erano tutte stronzate. Isabella aveva cercato di consolarti ma iniziasti a vederla come un’intrusa, a trattarla come se fosse cattiva, iniziasti ad odiarla e a urlare come tua madre. Provai a fermarti ma ti eri chiusa nella tua stanza e non volevi più vedermi. La mattina dopo chiamasti tua madre perché ti venisse a prendere. Passarono due giorni e non ti vidi, mai, neppure per qualche minuto. Fino a quando tua madre mi chiamò per dirmi che stavi venendo da me, si scusava perché ti aveva raccontato che eri solo un peso, che non ti volevo all’inizio, che ora che avevo trovato Isabella ti avrei dimenticato.” Prendo un sorso di acqua e distolgo lo sguardo dal tuo. “Si scusò, ma intanto ti aveva raccontato un mare di frottole per due giorni, ti disse che era per quello che non avevo voluto che prendessi il mio cognome.”
“E’ stato ciò che mi ha ferito di più in assoluto. Sembravi così legato a me, stavi con me tutto il tempo e avevi ridotto anche l’orario di lavoro, c’eri sempre. Non avevo mai parlato con te del mio cognome, ma le domande me le sono fatte spesso. Finché la mamma non mi disse quella cosa ed io non ci vidi più dalla rabbia. Ho corso, preso la metro e sono arrivata qui. Ti ho urlato addosso tutte quelle cose cattive… Non ti ho lasciato parlare e me ne sono andata.”
“Non ti sei più voltata indietro. Non hai più voluto parlare con me, non hai più risposto ai miei messaggi, alle mie chiamate, non ti facevi neppure trovare a casa. Sei sparita. Non sapevo più cosa fare Elizabeth, non avevo idea di come spiegarti che tua madre era solo arrabbiata.”
“Però io non sono una Cullen.”
“No, legalmente non hai il mio cognome. Tua madre è stata indecisa fino all’ultimo secondo, poi tuo nonno le ha detto che siccome non eravamo sposati e non era un rapporto solido, il nostro, era meglio che avessi il loro cognome, così non potevo avanzare nessuna pretesa su di te.”
“Il nonno ti ha fatto questo?”
“Sì, è per questo motivo che in questa lite ha preso le mie difese. Perché sa come sono andati davvero i fatti, perché è amareggiato per non aver preso decisioni diverse anni fa e perché non ha aiutato abbastanza perché ci riavvicinassimo.”
“Lo senti spesso?”
“Ogni giorno. Lo chiamo per sapere come stai, le novità, mi tengo informato come posso.”
“Perché prima di oggi non ti sei mai avvicinato?”
“Perché non ero pronto.”
“Ed ora cosa è cambiato?”
“Tante cose, Elizabeth.”
“Ad esempio?”
Ti guardo, seduta qui di fronte a me, nella mia cucina. Questo è il primo cambiamento. Stiamo parlando civilmente, siamo nella stessa casa, nella stessa stanza e seduti allo stesso tavolo. Non succedeva da sette anni. Forse siamo pronti entrambi, forse no.
Eppure ti osservo, i miei occhi immagazzinano ogni parte di te, memorizzo la tua immagine, le tue dita sottili, la tua pelle delicata, il viso fiero, quelle labbra identiche alle mie e gli occhi, gli occhi più belli del mondo, insieme a quelli di Isabella. Gli occhi verdi di mia figlia.
“Hai ragione, il mio matrimonio è in declino. Ho trascurato mia moglie in modo imperdonabile e oggi non ha più retto a questa tensione, a questa situazione e alla tavola calda mi ha aperto gli occhi.”
“Quindi devo ringraziare Isabella se ora ci stiamo confrontando?”
“Sì. Vorrei dirti che ho trovato il coraggio, che è merito mio e tutto il resto, la verità però è che senza Isabella non avrei mai trovato il coraggio di parlarti o avvicinarti. Sarei rimasto nell’ombra ancora e ancora.”
“Quindi… dovrai riconquistare Isabella e farti perdonare per tutti questi anni in cui l’hai ferita e trascurata. Come pensi di fare?”
“Non lo so. In questo momento sono molto confuso.”
“Lo capisco.”
Restiamo a guardarci per minuti interminabili, fino a che Isabella non entra in cucina con un grande sorriso e gli occhi rossi. Ha pianto, mia moglie si è commossa.
“Bene, ho infilato i panni nella asciugatrice, ho piegato la biancheria ed ho avviato un’altra lavatrice, menomale che mi sono portata avanti o avrei finito domattina. Ehi, non mangiate più?”
“Grazie amore, è squisito ma ho lo stomaco chiuso.”
“Sì, anche io. Però era delizioso, davvero. Grazie.”
“Figurati Elizabeth, è un piacere cucinare per voi! Volete un caffè?”
“No, grazie. E’ meglio se vado a casa ora.”
“Resta a dormire qui. Ti presto qualcosa di mio per la notte e c’è ancora la tua camera chiusa. A dire il vero ci sono una moltitudine di pupazzi e peluche che non saprei dove mettere, però c’è anche una camera degli ospiti. Fermati qui, dai!”
Guardo Isabella mentre tenta di convincerti e dal faccino pensieroso e le labbra intrappolate tra i denti, immagino non ci vorrà molto.
“Domattina preparo i pancake con mirtilli e yogurt bianco, caffè con la panna e c’è una crostata nel forno che sembra deliziosa, fatta stamattina. Resta qui, ti prego. Edward è così noioso, almeno possiamo guardare uno di quei film per ragazze io e te, mentre lui ci mette lo smalto alle unghie. Che te ne pare?”
Scoppi a ridere di gusto mentre mia moglie ti implora. E’ bellissimo guardarti così.
“E va bene. Mi hai convinto. Dovresti fare l’avvocato!”
“Fidati, a fare la segretaria di un grande boss ho più potere. Tuo padre fa quasi tutto ciò che gli consiglio e gli dico!”
“Ehi, non è vero!”  
“Come no! Tzé!”
“Da domani ti mando a lavorare nell’ufficio delle risorse umane, non c’è quel Mark che ti fa il filo e che sbava ovunque?”
“Oddio no! Preferirei lavorare all’ufficio vendite, lì c’è Lucas… un gran bel pezzo di…”
“Basta! Abbiamo capito!” Ridi da prima che cominciasse la nostra scenetta ed è così semplice, così normale che mi si riempie il cuore d’amore.
“Siete pazzeschi!”
“Già, quando avremo l’età dei tuoi nonni vedremo se la penserai allo stesso modo!”
“E’ tanto che non vedo nonno Carlisle e nonna Esme, saranno furiosi con me.”
“Tesoro non sono furiosi, sono solo delusi e gli manchi. Niente che delle scuse e un abbraccio lungo un tempo infinito non possa risolvere. Tuo padre li ha sempre tenuti aggiornati comunque.”
“Anche a me mancano molto…”
“Lo immaginiamo, tesoro. Ora vai in divano con Edward e scegli tu il DVD o tuo padre finirà per scegliere uno di quei polizieschi dove volano pallottole a tutto ritmo.”
“Posso aiutarti a sistemare qui?”
“Ammetto che mi farebbe piacere una mano, ma sono più felice se vai di là.” Poi avvicinandosi al tuo orecchio sussurra, anche se la sento benissimo. “Parli con papà e gli dici davvero tutto, tutto, tutto quello che c’è da dire dopo questi sette anni di silenzi e ti fai raccontare quello che vuoi sapere.”
La ascolti sorridendo dolcemente e mi segui in salotto. Con tono leggero guardiamo i DVD nello scaffale e, scelto uno che piace a te, ti sistemi sul divano.
“Isabella è meravigliosa. E’ una donna così forte, così dinamica, così splendida. Capisco come hai fatto a innamorartene. Persino io sono stata risucchiata.”
“Vorrebbe dei figli…” Mi lascio scappare non volendo.
“Perché non li avete?”
“Perché non ho voluto.” Mi guardi confusa, poi sgrani gli occhi e attorcigli le dita una con l’altra.
“E’ per colpa mia. E’ perché abbiamo litigato e non ti ho più voluto.” Annuisco debolmente.
“Avevo il terrore di commettere degli errori, di sbagliare qualcosa ancora una volta e di perdere tutto di nuovo. Temevo che potesse succedere come con te. Ho fallito con te e avevo la stramaledettissima paura di fallire ancora. Bella non si merita un uomo a metà e i nostri figli non si meritano un padre rovinato.”
“Ma ora che… ora che abbiamo parlato è cambiato qualcosa, giusto?”
“Tu vorresti che le cose cambiassero?”
“Spesso in questi anni mi sono chiesta cosa avrei fatto se fossi venuto a chiedermi scusa, a spiegarmi… la prima idea era quella di non ascoltarti, poi quella di sentire qualcosa che non era piacevole, per ultimo immaginavo di perdonarti e di venire a vivere con te. Non so se sono pronta per questo passo, però forse un fratellino mi piacerebbe.”
“E tra noi… cosa vorresti che cambiasse?”
Ci rifletti per qualche secondo, poi ti passi una mano tra i capelli nel gesto che hai preso da me e fissi la tv davanti a te per qualche secondo. Poi ti volti a guardarmi fisso negli occhi.
“E’ passato tanto tempo e abbiamo bisogno di conoscerci per ciò che ci siamo persi ma… non sarebbe affatto brutto vederci ogni tanto. Parlare, cenare insieme… pensi sia fattibile?”
Scoppio di gioia. Una notizia meglio di questa non potevi darmela. Non mi sarei mai aspettato che da questa giornata ne uscisse tutto ciò eppure sei qui. Sei disposta a darmi una seconda opportunità che afferro al volo.
“Penso sia meraviglioso.”
“Bene.”
“Bene.”
“Ho finito ragazzi, accendete il film!” Isabella si siede al mio fianco e lascia te alla mia destra. Erano anni che non mi sentivo così bene, così rilassato. “Elizabeth ti ho preparato la camera, il letto è grande e ci sono le lenzuola pulite, i peluche li ho messi dentro l’armadio.”
“Grazie Isabella, per tutto.”
“E’ stato un piacere!”
Mia moglie appoggia la testa sulla mia spalla e mi lascia un bacio sul petto, con il braccio le avvolgo le spalle e le bacio la nuca. Tu invece sei a distanza, eppure ogni scena nuova del film ti fai più vicina. Oh, le vecchie abitudini non muoiono mai.
A metà film hai appoggiato la testa sulla mia spalla e poco dopo ti ho circondata con il braccio destro. Isabella mi ha sorriso dolcemente e io ho chiuso gli occhi per godermi quella sensazione paradisiaca.
“Mi è mancato tutto questo…” Mormori soavemente.
“Anche a me. Dannatamente tanto.”
“Pensi che… possiamo rifarlo qualche volta?”
“Sì, assolutamente.”
“Okay”
“Edward, ti spaccherai la schiena. Non ha più dodici anni!”
“Non importa.”
“Sei cocciuto come un mulo!” Isabella sparisce in camera nostra mentre io cammino lentamente verso la camera con te addormentata tra le mie braccia. Sei cresciuta parecchio dall’ultima volta che ti ho portata così. Ti stendo sul letto e ti adagio di sopra una trapunta. Ti accarezzo una guancia e di colpo apri gli occhi spaesata.
“Dove sono?”
“Ti sei addormentata sul divano mentre guardavamo il film, ti ho portata a letto.”
“Proprio come ai vecchi tempi”
“Sì, solo che sei cresciuta dall’ultima volta!” Ridacchi e chiudi gli occhi, quasi estasiata.
“Eppure ce l’hai fatta.”
“Sono grande e forte!”
“E sei un eroe.”
“Lo ero un tempo, lo ero!”
“Tornerai ad esserlo, senza ombra di dubbio!”
“Mi fa piacere sentirlo. Ora dormi. Ci vediamo domattina a colazione.”
“Buonanotte!” Sto per uscire dalla camera quando mi chiami. Questa volta il suono è melodioso, incerto, titubante… ma maledettamente giusto.
“Papà?”
“Sì, piccola?”
“Mi sei mancato tanto.” La luna ti illumina il volto e vedo una lacrima scendere giù. Ti raggiungo in due falcate e mi piego ad abbracciarti. Ti adagi sul mio petto e mi stringi forte.
“Anche tu piccola, anche tu. Mi sei mancata in ogni momento della giornata, mi sei mancata come l’ossigeno, come il cibo, come una bottiglietta d’acqua in mezzo al deserto. Mi sei mancata tanto da impazzire. E non puoi immaginare la gioia di tenerti stretta tra le braccia e di sentirti chiamarmi papà.”
“Ho fatto tanti errori, potrai perdonarmi?”
“Solo se tu perdoni me.”
“Ti ho già perdonato, papà!”
“Oh piccola mia! Oh piccola!”
Non riesco a frenare le lacrime che scendono dai miei occhi, non sapevo di essere così pappamolle.
“Papà… so che passerà ancora del tempo prima di tornare nei binari giusti ma mi farebbe piacere poter cenare con voi qualche volta e…”
“Non c’è neanche da chiederlo, tesoro. Tutto quello che vuoi. Oh piccola, quanto ti voglio bene!”
“Anche io te ne voglio papà. Davvero credimi, mi sei mancato tanto. Tanto.”
“Non importa. Non importa. Ora sei qui. Oh bambina!”
Non riesco a dire e fare nulla di diverso da ciò che continuo a fare da dieci minuti: tenerti stretta, piangere e mormorarti quanto ti voglio bene. Anche tu sta piangendo, mi domandi scusa, chiedi perdono e mi dici che mi vuoi bene.
Cosa potrei volere di più dalla vita, in questo momento? Niente. E’ perfetta così.
Quando riesco finalmente a staccarmi da te siamo entrambi provati, ti sistemi sotto le coperte e mi sorridi, tenendo ancora stretta la mia mano. Mi sei mancata così tanto, piccola, che non mi sembra vero averti qui.
“Ci vediamo domattina a colazione. Buonanotte piccola, sogni d’oro!”
“Buonanotte papà!”
Mi chiudo la porta alle spalle e mi fiondo in bagno, appoggio la testa alla porta e sospiro. Non so se credere che tutto ciò sia la verità o sperare di svegliarmi il prima possibile da questo sogno meraviglioso. Mi lavo i denti e raggiungo mia moglie a letto. Ha gli occhi rossi e stringe tra le mani un fazzolettino di carta. L’abat-jour sul comodino è accesa in stanza, una lieve luce calda che mi rilassa. Mi avvicino al suo comodino e afferro il blister che tiene nel primo cassetto, poi apro il cassetto del mio comodino e afferro la scatola di preservativi. Li getto nel cestino dell’immondizia e mi infilo sotto le coperte.
“Ora sono pronto ad andare avanti con la mia vita, amore. Con la nostra vita. Grazie per stasera, ti sarò riconoscente a vita!” Mormoro baciandole la testa.
“Vi ho spiati… scusa!”
“Non ti preoccupare, mi risparmi solo la fatica di raccontarti tutto!”
“E’ andata bene, mi pare!”
“E’ andata meglio di ciò che speravo. Abbiamo parlato tanto, ci siamo perdonati a vicenda, lei tornerà a fare parte della mia vita e io voglio far tornare questo matrimonio in carreggiata, voglio dedicarmi anche a te, al nostro futuro, alla nostra vita.”
“Vuol dire che… vuoi dei bambini?”
“Sì, sì. Se tu mi ami ancora… se tu vuoi ancora la nostra famiglia!”
“La vorrò sempre amore, la vorrò sempre. Elizabeth è finalmente tornata a casa e ti amo ancora più di prima!”
“Anche io.”
“Bene… allora forse dovremmo cercare di dare una spinta a questa famiglia e tentare di fare dei bambini!”
“Sarà ancora in circolo l’ormone della pillola, amore.”
“Oh, io non credo!” Mi sorride maliziosa.
“Che hai combinato?”
“Niente! Diciamo solo che ho smesso di prendere la pillola da qualche mese… e che i preservativi che hai usato erano quasi tutti bucati!”
“Bella!” Mi stacco da lei sorpreso. Mi sorride e mi scopro a ridacchiare con lei.
“Ti amo Edward, ti amo da impazzire. Non sapevo quanto ancora ci sarebbe voluto perché tua figlia tornasse… ma non potevo aspettare in eterno. Io voglio dei bambini e li voglio da te. Voglio la nostra famiglia!”
“Sei una pazza. Ma ti amo alla follia!”
“Anche io!”
“Bene… allora questi bambini?”

Dannato tappeto

**Note di Aly

Buona sera a tutte!!! Eccomi di nuovo! Sì, lo so, non vi pare vero che ieri ho pubblicato l'aggiornamento a Grido nel silenzio e oggi sono qui a pubblicare una OS. E invece eccomi qui!
Bene, che dire? Questa è una OS abbastanza soft e leggibile da tutti. Divertente e leggera, giusto per passare qualche momento con il sorriso stampato sul volto. Ve la presento, facciamo così.
Sul gruppo di Facebook di cui faccio parte, ogni tanto si organizzano dei contest dove le autrici si mettono in gioco. Questa volta il tema era la TERRA, intesa come qualsiasi cosa che ci potesse far ideare qualcosa che ne avesse un legame. La terra intesa come pianeta, come patria, come terra in cui piantare i fiori... insomma qualsiasi cosa.
Terra è anche uno dei quattro elementi: Acqua, Aria, Terra e Fuoco.
Detto ciò non c'è molto altro da dire. Mi sono classificata terza nella categoria "Miglior Atmosfera Leggera", vediamo voi cosa ne pensate di queste paginette.
Come sempre buona lettura,
un abbraccio,
Aly**



 
La mia copertina

 
La targa premio




“Mamma! Mamma!”
“Che vuoi Bella?”
“A che ora devi andare al centro commerciale?”
“Alle tre, cioè tra poco! Ricordati che viene il giardiniere intorno alle quattro, fagli vedere quella pianta che ti ho detto… Mi raccomando!”
Sorrido tra me e me davanti allo specchio mentre mi sistemo i capelli in una coda alta e libero il collo. Per questo pomeriggio ho scelto un paio di pantaloncini corti di jeans, una canotta aderente molto corta. Abbigliamento molto comodo per studiare per l’esame di matematica di lunedì prossimo.
“Certo mamma!” In realtà più che per lo studio mi sono preparata per il giardiniere. Edward. E’ un ragazzo così sexy! Quando Alice e Rose vengono a studiare il pomeriggio perdiamo le ore a fissarlo dalla finestra e non combiniamo mai nulla di buono. Ma quelle giornate sono le peggiori, lui mi ignora quando ci sono le mie amiche e peggio ancora quando mamma è nei dintorni. Se sono sola, invece, accetta volentieri un bicchiere di acqua fresca o un caffè e si ferma a chiacchierare con me. Sono le giornate migliori. Ho scoperto che ha solo ventotto anni, appena sei più di me, non ha terminato l’università anche se si è iscritto a ingegneria e ama i cani pelosi, come la mia Fuffi.
Sono costretta a tenerla in camera quando lui è qui, gli impedisce di finire il lavoro o peggio ancora con le zampette si mette a scavare buche sulla terra che lui ha appena sistemato. E’ dispettosa, dato che quanto lui non c’è non si muove dal tappeto d’ingresso neanche a pagarla.
Però Edward non si arrabbia mai quando per sbaglio mi scappa e fugge a rovinargli il lavoro, si mette a ridere e gioca con Fuffi per un po’ fino a riportarmela in casa per essere sicuro che non lo disturbi più.
Scendo dalle scale di fretta e consegno a mamma la ricevuta per ritirare un paio di scarpe che ho portato a far sistemare quasi un mese fa.
“Non ti sembra di essere un po’ troppo… svestita?” La sua occhiataccia mi mette in allerta.
“Ho caldo mamma, sai che ogni volta che mi metto a provare gli esercizi di matematica sudo. Ho la felpa a portata di mano se ho freddo.”
“Ne sei sicura sì? Non è che vai in spiaggia come l’altra volta e lasci Edward a lavorare da solo senza controllarlo. Vero?”
“No, che dici mamma!” Figurati se perdo l’occasione di stare qualche ora a guardarlo mentre pianta i tuoi stupidi fiori rosa o mentre taglia l’erba del giardino. Fossi matta.
“Okay, mi fido di te. Ma se vengo a sapere che hai combinato uno dei tuoi casini, giuro Bella che farò in modo di chiuderti in camera a vita!”
“Mamma, ma se sono buona come un agnellino!”
“Sì, come no! Dillo al recinto dei signori Lepin in fondo alla via.”
Due anni prima stavo tornando da una festa sulla spiaggia con la macchina di papà ed ho fatto la curva un po’ troppo larga. Mi sono ritrovata dentro la corte dei Lepin dopo avergli sfondato la recinzione. Non ho avuto la macchina per tre mesi. I miei sono ancora dell’idea che le punizioni, ogni tanto, servano anche se si è adulti. Forse dovrebbero capire che se in ventidue anni non sono servite… è un po’ troppo tardi!
“Per quanto me lo rinfaccerai?”
“Credo per l’eternità, figlia mia. Certe cose è difficile dimenticarle!”
“E’ meglio se ti sbrighi. Marie ti starà aspettando fuori da scuola impaziente. Sai che ci metterà tre ore a scegliere un abito per il ballo scolastico!” Mia sorella è una tipetta tutto pepe, peggio di me. Ha iniziato a dare del filo da torcere ai miei genitori quando aveva quattro anni e nascondeva i biscotti di nonna Lucille sotto al tappeto e poi ci saltava sopra. Quei biscotti alla cannella e zenzero facevano proprio schifo, mentre io li nascondevo dentro le tasche dei vestiti e poi li buttavo nel cassonetto, lei trovava un modo sempre casinista per rendere chiaro quanto quei biscotti fossero disgustosi. Nonna Lucille, la madre di mia madre ha lo stesso rapporto con il cibo di mia madre. Loro e la cucina sono mondi a parte che non dovrebbero mai entrare in contatto. A casa, infatti, è sempre papà che cucina o mamma che ritira la cena in qualche rosticceria. Io, per fortuna, ho preso i geni di papà, Marie invece assomiglia alla mamma.
Saluto mia madre mentre apro il librone di matematica e faccio finta di riguardare gli appunti. Come se fosse possibile mettersi a studiare in una giornata soleggiata come quella di oggi, attendendo il giardiniere più sexy sulla faccia della terra.
Quando il primo giorno si è presentato quel fustacchione alto e castano mi sono detta: “Ehi, finalmente Phil ha assunto nel suo staff persone giovani!”, ma non l’avevo considerato troppo. La seconda volta ho aperto la porta e me lo sono trovata davanti con una maglia a maniche corte e un paio di jeans stretti sulle gambe. I muscoli delle braccia mi rendevano difficile l’articolazione delle parole per cui non ricordo cosa dissi, ma sicuramente qualcosa di stupido, la sua espressione era mista divertimento e shock. Una pessima figura insomma.
Dal tavolo del soggiorno vedo il furgoncino dell’azienda di Phil arrivare, Edward scende con un cappellino calcato sulla testa, il frontino gli copre gli occhi, ma le spalle larghe sono valorizzate dalla maglia verde militare. Riesco a intravedere i muscoli che si muovono per prendere gli attrezzi dal bagagliaio e lo scorgo prendere un profondo respiro e suonare al citofono. Devo imitarlo, respirare a fondo prima di aprirgli e uscire nel porticato. Cammina lungo il vialetto con passo deciso e quando alza gli occhi da terra e mi vede strabuzza gli occhi come se si trovasse di fronte un fantasma. Devo avere qualcosa che non va. Faccio finta di guardare se sotto i piedi scalzi ho qualcosa e controllo velocemente il mio abbigliamento. No, direi che è tutto in ordine.
Odio quel cappello che gli copre gli occhi, i suoi occhi meravigliosamente verdi e così profondi.
“Ciao Edward, ben arrivato.”
“Ciao Bella, ehm… tua mamma è in casa?” Fingo disinteresse, sono certa che il maschio più grande non vuole che la ragazzina gli si appiccichi come una cozza.
“E’ appena uscita, in realtà. Mi ha detto di mostrarti la pianta che pensa sia malata.” Scendo dal porticato a piedi nudi e cammino per la ghiaia trovando addirittura piacevole il massaggio delle pietre sotto ai piedi.
“Non ti fa male camminare senza scarpe?”
“Da bambina ero sempre scalza, ho abituato al pelle dei piedi!” Giro attorno alla casa e gli mostro l’albero in questione nel giardino del retro.
“Okay, poi do un’occhiata. Per prima cosa sistemo di fronte, ho visto che tua mamma ha lasciato alcuni fiori da piantare. Vuole far diventare casa tua un orto botanico?”
“Che ne so! Pare che voglia partecipare a un concorso per il giardino più colorato di tutta la costa!” Lui ride alla mia battuta mentre torniamo verso casa. “Posso offrirti un caffè?”
“Magari più tardi, ora dovrei mettermi al lavoro.”
“Certo, lascio la porta socchiusa, se hai bisogno urla e ti sento!”
“Tu che cosa fai nel frattempo?”
“Studierò matematica, lunedì ho un esame e non sono molto preparata. Spero che vada bene ugualmente!”
“Matematica è uno dei pochi esami che ho passato senza difficoltà, se ti serve una mano chiamami!” Oh, saprei io cosa farci con la tua mano! A quel pensiero le guance mi si colorano di rosso e le sento scottare, distolgo lo sguardo dissimulando l’imbarazzo e lo saluto tornando di corsa dentro casa.
Studiare è ovviamente impossibile, sbircio più volte dalla finestra ma riesco a vedere solo quel dannato cappellino. Mi fisso su un esercizio e ci riprovo venti volte, alla fine decido di afferrare il telefono buttarmi sul divano e giocare a far scoppiare i quadratini dello stesso colore. Devo scaricare l’adrenalina o non riuscirò mai a concentrarmi, questo gioco ha la capacità di distrarmi da ogni cosa, anche se devo ammetterlo, si fa fatica a distrarsi da uno come Edward che lavora lì fuori, sudato e affaticato.
Okay, Bella, piantiamola!
“Quindi, da quando matematica si fa giocando a Compulsive?” Scatto seduta sul divano, spaventata dalla voce di Edward alle mie spalle.
“Ehi, non ti ho sentito entrare!” E soprattutto, come diavolo fa a conoscere questo gioco?
“Già, quel gioco fa lo stesso effetto anche a me. Dovresti davvero studiare e non perdere tempo a evitare gli esercizi, o lunedì sarà un grande problema!”
“Non riesco a fare gli esercizi, devo… fare altro per un po’ quando poi ho il lampo di genio mi ci rimetto sotto.” No, in realtà dovrei distrarmi da te, ma finché sei qui è impossibile.
“D’accordo, ho quasi finito, posso avere un bicchiere d’acqua?”
Vado a prenderglielo in cucina e quando torno lo trovo intento a scribacchiare sul mio quaderno con la matita.
“Ti ho fatto alcuni schemi, segui questi per risolvere gli esercizi e vedrai che non avrai problemi.” Beve tutto d’un fiato il bicchiere che gli ho portato mentre me ne sto a fissare la sua scrittura sul mio quaderno. E’ chiara, precisa, espressione di chi sa quello che fa.
“Perché hai lasciato l’università?”
“Perché avevo bisogno di soldi.”
“E perché?”
“Perché sì!”
“Perché sì non è una risposta.”
“E tu sembri una poppante quando continui a farmi domande del genere!” Indietreggio di fronte a questa frase detta con cattiveria. Se ne accorge e mi ferma prendendomi il polso tra le sue dita. “Scusami Bella, non volevo prendermela con te. Non è un argomento che mi piace affrontare.”
“Okay, bastava che rispondessi così. Fine delle trasmissioni. Ora devo tornare a studiare e tu a sistemare il giardino.” Mi siedo al tavolo e cerco di ignorarlo, odio quando si comporta in questo modo.
“Non te la prendere adesso!”
“Non me la sono presa. Davvero, se torna mia madre e ti trova ancora qui a cazzeggiare sono guai Edward. Sai che odia pagare per niente.”
“Ehi!”
“Ehi un corno. Vai a lavorare!” Sono arrabbiata e non ragiono, quindi dico cose cattive. Odio quando mi comporto così ma non riesco a cambiare.
Sento i suoi passi che mi raggiungono alla mia postazione, si mette dietro di me e si piega, il fiato caldo sul mio collo libero.
“Non sono uno abituato a chiedere scusa, ma quando lo faccio sono sincero. Odio chi non mi crede e chi non mi perdona. A volte sono un cretino, ma quando chiedo scusa lo faccio con il cuore.” Lo ammetto, non ho capito nulla di quello che ha detto perché era talmente vicino che le sue labbra toccavano la mia pelle e mi sono riempita di brividi. La pelle d’oca sulle braccia si vede ad occhio nudo, ma sono impietrita e non riesco a muovermi.
“Quindi cosa vuoi?” Riesco a dire dopo tre tentativi.
“Che mi sorridi e mi dici che non ce l’hai più con me.”
“Okay, non ce l’ho più con te!”
“Non prendermi per il culo, dov’è il sorriso?” Ridacchia mentre con il naso accarezza il mio collo. “Hai sempre avuto questo profumo delizioso, saresti da leccare tutta per ore!”
“C-cosa?” Addio salivazione.
“Hai sentito, non fare la stupida. E non credere che non sappia il motivo per cui oggi indossi questa canottiera e questi pantaloncini.” E mentre lo dice con le dita mi accarezza il fianco fino a fermarsi sulla cintura dei jeans.
“E quale… sarebbe?”
“Lo stesso che ti fa ansimare in questo momento!” Mi lascio scappare un gemito senza che possa fermarlo. Maledizione. Non mi ero accorta di ansimare così vistosamente.
“Ti… ti sbagli!”
“Provamelo. Girati e mostrami che sei indifferente a tutto ciò. Che sei indifferente a me.” Si stacca quel poco che mi serve per alzarmi in piedi e voltarmi verso di lui. Nel momento in cui i miei occhi incontrano i suoi, caldi e eccitati mi rendo conto che non posso far finta di niente e che tutto ciò che ho sperato in questi mesi si sta avverando.
“Merda.” Mi sfugge e lui sorride. Sto per aprire bocca e dirgli che dovremmo fare attenzione, invece mi tira per un braccio e gli finisco addosso, i suoi muscoli a contatto con la mia pelle morbida mi fanno rabbrividire. Le sue mani si muovono fino al mio sedere, con più forza di quella che credevo possedesse mi tira su e mi fa allacciare le gambe attorno a lui. Non ho il tempo di perdermi nei suoi occhi ancora un attimo in più perché la sua bocca è sulla mia. Finalmente. Le sue labbra sono morbide, calde; la sua lingua è instancabile e cerca la mia fino a sottometterla. Si muove per la casa, sale le scale e sono sicura stia puntando verso la mia camera da letto, ma potrebbe anche essere quella di Marie per quanto ne so. Ho gli occhi chiusi, una mano impegnata a cercare di togliergli la maglietta e l’altra tra i suoi capelli per stringerlo a me. Non appena entriamo in stanza la canotta abbandona il mio corpo e il reggiseno la segue, finalmente riesco a strappargli la maglia di dosso e posso sentire la sua pelle calda e i muscoli tesi e definiti sotto le mie dita. Fuffi abbaia e scappa fuori dalla camera quando Edward mi lancia sul letto. Mi lascia da sola giusto il tempo di chiudere la porta a chiave e poi torna da me con i jeans sbottonati. Sono stata io o l’ha fatto lui?
“Sono settimane che indossi gli abiti più stretti e succinti che hai dentro quel cazzo di armadio. Non credo di potermi trattenere oltre!” I miei jeans e il perizoma abbandonano la loro posizione strappati dalle mani di Edward. Lancia le scarpe da qualche parte nella camera e si spoglia in fretta. Mi raggiunge sul letto fissando il mio corpo come se fosse un piatto da mangiare.
“Preservativo.” Riesco a mormorare ansimando. Non mi sta toccando e sono ridotta a uno straccio.
“Non vado al lavoro portandone, solitamente!”
“Primo cassetto, comodino!” Si allunga e afferra la scatola gettandola sul letto.
Si appoggia su di me facendo vagare le sue mani sul mio corpo e mandandomi a fuoco. Non sono una novellina, ma non sono mai stata con un uomo che mi facesse provare queste sensazioni solo con un tocco, che mi facesse urlare di piacere solo pizzicandomi i capezzoli e baciandomi il collo.
Mi sento talmente eccitata che se solo mi toccasse potrei esplodere. Apro la scatola dei preservativi e ne prendo uno preparandolo.
“Edward…” Mormoro ormai al limite.
Si inginocchia tra le mie gambe aperte e mi fissa con le braccia lungo il corpo.
“Io?” Domando inebetita. Annuisce senza fiatare e io eseguo il suo ordine muto. Gli infilo il preservativo sotto il suo sguardo e lo sento mugugnare di piacere.
Non si fa attendere oltre, mi spinge sul letto e con la mano si guida dentro di me, spingendosi tutto dentro in una sola spinta lenta.
“Merda!” Mi sfugge un gemito misto di dolore e piacere. Si muove dentro e fuori un paio di volte facendomi abituare alla sua prestanza fisica, poi si lascia andare e spinge, spinge come se volesse fondersi con me.
Ha la testa appoggiata alla mia spalla mentre io non riesco a tenere gli occhi aperti e sono costretta a piantare le mie unghie sulle sue spalle per non impazzire.
“Come cazzo è possibile!” Sussurra baciandomi la clavicola.
“C-cosa?” Non riesco a formulare una frase più articolata, sono completamente fuori di testa. Questo momento è cento volte meglio di come l’avevo immaginato. Le sue mani strette sui miei fianchi, il suo corpo che si muove con il mio, le sue gambe intrecciate alle mie. Sembra il momento perfetto.
“Sono al limite, sono talmente eccitato che non resisto.”
La sua confessione mi fa gemere più forte e rispondo con il bacino alle sue spinte. Geme e mugola sulla mia pelle e sono i suoni più belli di sempre.
“Dimmi che ci sei, dimmi che ci sei Bella!” Non riesco a parlare, mi mancano le parole e il fiato. Sono impegnata a gemere e ansimare come una cavalla impazzita. Il suo corpo possente e muscoloso mi pesa addosso come un macigno ma non è spiacevole, rende il tutto ancora più eccitante. La nostra pelle sudata che striscia e fa rumore più forte dei nostri respiri affaticati mi rende ingorda.
Rispondo solo con un gemito strozzato mentre lui spinge più forte e si sfrega sul mio centro. Lo sento spingere più forte, disperato, mentre le sue mani finiscono tra i miei capelli a tenermi ferma la testa mentre lui si impossessa della mia bocca.
Il bacio è bagnato, bisognoso, disperato, eccitante. La sua lingua entra e esce dalla mia bocca in modo indecente e la presa sui miei capelli è talmente forte da farmi male ma allo stesso tempo estremamente eccitante. Così eccitante che l’orgasmo decide di cogliermi in questo istante, mentre i suoi denti mi mordono le labbra e le sue mani tirano indietro i miei capelli per spingermi la bocca sulla sua. Grido il suo nome e sento Edward appoggiare la fronte sulla mia mentre spinge impazzito dentro di me facendomi cavalcare l’onda fino a raggiungere l’orgasmo lasciandosi andare a un gemito roco sensuale.
Il mio letto da una piazza e mezza è sicuramente scomodo per lui, sarà abituato a letti matrimoniali king-size con lenzuola firmate e donne più piacevoli da avere vicino. Stiamo in silenzio per quello che sembra un tempo infinito, io me ne sto con gli occhi chiusi in una piacevole sensazione di torpore post-orgasmo; Edward respira a fatica al mio fianco. La sua mano è sulla mia pancia e una sua gamba è intrecciata con la mia. Sembra tutto un sogno bellissimo.
Solo quando lo sento prendere un respiro profondo mi rendo conto di quello che è successo e per quanto lo desiderassi da mesi ora è una situazione imbarazzante. Non è un sogno.
“Merda!” Mi lascio scappare ancora una volta. Mi alzo di scatto dal letto recuperando in giro per la stanza i miei vestiti e cercando disperatamente di ricompormi. Lo specchio riflette l’immagine di una ragazza birbantella che ha infranto le regole di sua madre ancora una volta, sfinita da sesso bollente con un uomo che si dimenticherà di lei non appena uscirà dalla porta.
Una cretina in sostanza!
“Merda!” Dico ancora a voce più alta.
“Ehi Bella, dove stai andando?” Si appoggia alla mano per guardarmi muovermi da una parte all’altra della stanza in pieno panico. Gli passo i vestiti e sussurro.
“Se torna mia madre mi fa la pelle. Devi rivestirti e tornare al lavoro! Subito!”
“Grandioso!” Evito di osservarlo e frugo tra le carte della scrivania per far finta di nulla, l’agitazione è alle stelle e il panico anche. Sbuffa mentre si riveste e si infila le scarpe.
“Quindi non ne parleremo?”
“Assolutamente no.”
“Ne sei sicura? Insomma è stato…”
“Non dire niente!” Alzo una mano per zittirlo. Non voglio sentire le solite frasi di circostanza ora, ho solo bisogno di starmene per i fatti miei e farmi assalire dai sensi di colpa.
“Perfetto, torno al lavoro.”
Esce dalla camera senza aspettarmi e scende di sotto. Posso tranquillamente lasciarmi andare alla disperazione. Richiudo la porta per non essere disturbata e mi lascio andare sul pavimento. Ho fatto sesso con Edward.
Ho fatto del sesso eccezionale con Edward.
Edward ha fatto sesso con me.
Non so se per lui è stato eccezionale.
Io ho cacciato Edward dalla mia stanza dopo aver fatto sesso con lui.
Lui voleva parlarne. Io no.
Sono proprio una deficiente.

Non mi rendo conto di quanto tempo è passato quando scendo dalle scale. Il furgoncino di Edward non c’è più, lui non si vede in giro e mi rendo conto di essere stata proprio una cretina. Sul marmo dell’isola della cucina c’è un post-it con i dettagli del lavoro per mia madre. Non mi aspettavo certo che mi lasciasse il suo numero di telefono né un post-it a fianco a quello per Reneè con qualcosa del tipo: “E’ stato il sesso più fantastico della mia vita, rifacciamolo.” Ma almeno qualcosa. E’ l’uomo santo cielo, doveva pur dire qualcosa. E’ adulto. Gli capiteranno storie di questo tipo ogni giorno, saprà cosa dire.
E invece niente.
Certo io l’ho interrotto prima ma cazzo! Io ero nel panico!
Sbatto i piedi infuriata e raccolgo i miei libri tornandomene in camera mia. Camera che ora resterà impregnata dei ricordi del pomeriggio. Maledetto Edward. Mi toccherà andare in biblioteca a studiare ogni pomeriggio che verrà a lavorare per mia madre, non so se ce la farò a sopportarlo mentre mi ignora. Oggi mi sono comportata proprio come una bambina ma non sapevo che altro fare.
Sistemo il letto e nascondo le prove del pomeriggio bollente passato nella mia camera, poi mi metto a studiare sdraiata sul materasso. Apro il libro e il quaderno e girando pagina trovo una scritta in matita che, sono certa, prima non c’era.

“Non so cosa ti sia preso, spero sia tutto ok. Ci vediamo domani alle nove davanti alla caffetteria in Victoria Street per fare colazione? Poi devo lavorare. Volevo dirti di non farti prendere dal panico, ma credo sia troppo tardi.
E’ stato fantastico.
Edward.”

 
Il suo messaggio mi rende felice e contenta per tutta la serata, certo avere il suo cellulare sarebbe stata una conquista in più, ma forse da questo momento è il caso di fare le cose con calma.
Quando mia madre torna è inviperita perché Marie le ha fatto perdere tutto il pomeriggio, comincia a fare il bucato e a sistemare il piano di sopra mandandoci tutti nel salotto, per non essere disturbata. Prevedo che questa sera si ceni a base di pizza se papà non si sbriga a tornare. Quando mamma è arrabbiata potrebbe pulire casa anche per tutta la settimana e poi ricominciare. Sto pensando di prendere un appartamento tutto per me e condividere le spese con qualche coinquilina perché talvolta l’invasione della privacy di mia madre è impossibile da tollerare. Devo solo cercare un lavoretto che mi assicuri una piccola stabilità finanziaria! Come se fosse semplice.
Sto giocando a quel diavolo tentatore di Compulsive facendo la partita migliore di sempre, superando il mio punteggio migliore, nonostante questi pensieri assurdi; quando mia madre urla contrariata dalla mia camera.

“Bella! Che diavolo ci fa della terra sul tappeto della tua camera?”
Sgrano gli occhi in panico e poi sorrido.
Ops!

martedì 5 gennaio 2016

Scintilla al Moulin Rouge

**Note di Aly
Buona... notte a tutte! Non so chi a quest'ora possa essere collegata per vedere questo aggiornamento, ma è l'unico momento libero che ho trovato in questi giorni e avevo davvero voglia di rispolverare questa OS e farvela conoscere.
Partecipai ad un contest in cui le OS dovevano essere di ambientazione storica e portai questa, ora l'ho revisionata e ricontrollata, anche se sono sicura di peccare ancora con qualche errore.
Detto questo vi auguro BUON ANNO NUOVO a tutte voi che mi leggete. Spero di trovare tante recensioni a questa storia e spero presto di riuscire a postare anche un altra OS che ho e non ho ancora condiviso con voi.
Vi ricordo di leggere le storie del contest Natalizio a cui ho partecipato su FB, il link è il seguente: http://natale2015-twi-contest.blogspot.it/2015/12/la-segreta-passione-dellavvocato-cullen.html
Ci sono in totale 15 storie anonime che sono davvero meritevoli di essere lette e votate. Le modalità di voto le trovate sul regolamento! Sarebbe bello anche se mi individuaste, proprio voi che ormai conoscete il mio stile. Ovviamente, fino ad avvenuta premiazione, non potrò rivelare quale storia è la mia!

Mi auguro che la storia vi piaccia.
Il banner è gentilmente offerto da Sherazade.
Buonanotte e, come sempre, buona lettura.
Aly**


 

 



Parigi 1900


“Il Moulin Rouge.
Un locale notturno.
Una sala da ballo e un bordello.
Dove imperava Harold Zidler.
Un regno di piaceri notturni, in cui i ricchi e i potenti venivano a divertirsi con giovani e belle creature di malaffare.
Il mondo era stato travolto da una rivoluzione Bohemienne. Su una collina di Parigi c’era il quartiere di Montmarte, il cuore del mondo Bohemienne: musicisti, pittori, scrittori; i cosiddetti figli della rivoluzione.”


Da quando era arrivato a Parigi era rimasto affascinato dalla bellezza che lo circondava, Edward era il classico signorino inglese di buona famiglia: indossava abiti fatti su misura di stoffe pregiate, possedeva vaste terre nel nord Inghilterra, tutto grazie alla ricchezza di suo padre. Era cresciuto con un insegnante privato, sua madre gli aveva insegnato a leggere quando aveva solo cinque anni, di modo che avesse tempo per esercitarsi e diventare colto come suo padre. Non gli avevano mai fatto mancare nulla i suoi genitori: né regali, né conoscenza, né cultura, né svago. Frequentava famiglie importanti e veniva trattato con rispetto, anche se lui non si occupava di nulla, era tutta riconoscenza verso suo padre. Sempre e solo suo padre. Erano una delle famiglie più influenti del nord Inghilterra.
Di quel denaro e quel prestigio, però, lui non sapeva che farsene. Fin da quando era bambino adorava correre tra i prati delle loro tenute insieme al baronetto dei possedimenti vicini, esploravano la campagna arrivando fin sotto al fiume, amavano ognuno la compagnia dell’altro anche quando erano ormai ragazzi e piuttosto che correre per i loro possedimenti camminavano fino alla locanda di Mrs Duncan per giocare a carte con i loro coetanei. Nessuno dei due amava la compostezza e la serietà imposte dalle buone maniere, erano spensierati e avventurosi, liberi e giocherelloni; limitarli alla vita di casa chiusa e monotona li faceva sentire imprigionati. Crescendo però entrambi avevano sviluppato altre passioni solitarie: Jasper aveva scoperto l’amore per la pittura, Edward quello per il pianoforte; l’uno e l’altro si esercitavano molto, passando tantissimo tempo tra le mura domestiche ed abbandonando sempre più frequentemente le loro ore di svago insieme. Edward non poteva accettarlo, era come se si fosse allontanato di colpo da suo fratello. Aveva sempre desiderato una famiglia numerosa, dei fratelli o una sorella a cui badare, ma le famiglie dell’alta società non potevano permettersi di figliare quanto desideravano, erano solo le classi più povere ad avere la casa piena zeppa di bambini urlanti da educare. Sua madre e suo padre odiavano il rumore in casa. Aveva imparato ad amare lo studio come unica valvola di sfogo, leggeva molti libri, tutti quelli delle librerie di suo padre, aiutava sua madre a scegliere le stoffe migliori per la tappezzeria e per i nuovi abiti commissionati, si infiltrava nelle discussioni economiche del padre quando pensò di saperne abbastanza e di avere l’età giusta; ma gli appariva tutto noioso e abitudinario. Avrebbe voluto correre il rischio almeno per una volta nella vita, sentire il brivido di disobbedire, di essere indipendente e uomo nel mondo.
L’occasione si presentò ormai ventitreenne, quando il suo amico Jazz piombò a casa sua con una valigia pesante e una sacca in spalla per salutarlo, aveva deciso di partire per la Francia; la sua meta era Parigi.
Dapprima lo aveva guardato circospetto, un po’ adirato per non averlo messo al corrente prima di quella sua folle idea, poi l’aveva invitato ad aspettarlo e, preso un foglio e un pennino, cominciò a scrivere un biglietto ai suoi genitori.

“Cari genitori,
Mi trovo costretto ad allontanarmi da casa per qualche tempo. La mia curiosità mi spinge a ricercare cose del mondo che non ho ancora visto, la sete di sapienza mi obbliga a seguire Jasper nel centro della Francia e guardare con i miei occhi le novità che ho perduto sinora . Si parla di rivoluzione artistica, arte, cultura. Tutte cose che mi affascinano e che voglio conoscere.
Non me ne vogliate se vi lascio senza un saluto, sono convinto di tornare al più presto. Considerate questo mio allontanamento come una breve vacanza.
Spero di tornare con qualcosa in più da offrire alla nostra famiglia.
Vi amo,
vostro Edward.”

Era stato conciso e sbrigativo, forse i suoi non lo meritavano ma sentiva crescere dentro di lui la smania di sapere, di partire, di arrivare. Corse da una parte all’altra della casa, raccogliendo ciò che gli pareva utile; aveva recuperato, da sotto il suo enorme letto, una valigia robusta e una sacca ed aveva iniziato a riempirle entrambe di abiti e di cianfrusaglie che gli erano care. Non sapeva quanto tempo sarebbe stato lontano da casa, ma era sicuro che il buon nome di suo padre non sarebbe arrivato sin lì fornendogli garanzie economiche come in territorio di casa, e i soldi che aveva racimolato non gli sarebbero bastati a lungo. Poco gli importava al momento, l’adrenalina scorreva nelle sue vene e faceva apparire ai suoi occhi tutto meraviglioso, tutto semplice, ai problemi ci avrebbe pensato in seguito!
Ricordò di mettere in valigia alcuni libri, non se ne sarebbe separato per nulla al mondo, sperava che una volta giunto in Francia la fortuna gli permettesse di trovarne ancora, per vedere se i libri di quella terra fossero diversi da quelli che si trovavano in Inghilterra.
Indossò una giacca pesante sopra le sue braghe un po’ sgualcite ma comode, scelte per il viaggio, e raggiunse Jasper indossando il suo miglior sorriso.
“Andiamo!” Gli disse solamente, chiudendosi la porta d’entrata alle spalle.
Il lungo viaggio in treno, durato tutta la notte e buona parte della mattinata, li aveva sfiniti. Quei sedili di legno erano così scomodi che non riuscirono a riposare, l’odore dei freni, poi, penetrava all’interno delle cabine e non permetteva di respirare bene. Ma entrambi erano così elettrizzati che quando salirono sul traghetto per arrivare in Francia stettero ore in piedi a guardare il mare attorno e le coste della loro terra allontanarsi.
“Io ero preparato a giorni e giorni di viaggio, ho avuto mesi per pensarci, ma tu Edward no, come mai questa improvvisa voglia di partire?” la domanda era stata fatta nel momento in cui avevano preso il treno che li avrebbe condotti a Parigi.
“Mi sentivo chiuso. Costretto a una vita che per me stesso non avrei mai scelto. Meglio di chiunque altro sai che odio starmene con le mani in mano ad aspettare che mio padre decida che è il momento giusto per inserirmi negli affari di famiglia. Affari che in ogni caso non desidero portare avanti. La ricchezza mi è sempre stata un po’ stretta. Dato che la decisione proviene da te posso comprendere che per te sia la stessa cosa, no?” Rispose al biondino con un ghigno.
“Mio padre voleva farmi sposare Mary Elizabeth, la figlia di un barone le cui terre sono molto ricche e preziose, almeno per gli affari economici degli Hale. Se tu la potessi vedere Edward, fidati… scapperesti molto più lontano della Francia! E’ una ragazzina, viziata e cocciuta, prepotente e arrogante. Tutto ciò che ho sempre odiato in una donna! Il problema è che non è neppure donna, ha solo quindici anni e non ha nulla di interessante.”

La conversazione era proseguita fino al loro arrivo nella capitale della rivoluzione Bohemienne. Camminando per le strade fino all’alloggio in cui aveva preso contatti Jasper, tramite un amico che l’aveva preceduto in questo cambio di rotta, avevano potuto notare quanto quella città fosse ricca di cose meravigliose.
Cattedrali, statue, artisti di strada e giardini ricolmi di un verde così intenso che riusciva davvero a dare il senso di casa, un affetto, una speranza. Parigi era una città piena e viva. Una città diversa da quelle che avevano visitato in Inghilterra. La gente arrivava da ogni parte del mondo, la lingua diversa non era assolutamente motivo di paure o timori, se non ci si capiva l’un con l’altro ci si spiegava a gesti indicando, mostrando, muovendo le mani e biascicando parole sentite da qualche altra parte simili al francese di queste terre. Parigi pullulava di uomini e donne che volevano partecipare al boom artistico di quegli anni!

Edward e Jasper avevano affittato una piccola camera quasi del tutto spoglia, con un bagno minuscolo tanto da risultare ridicolo, due letti singoli che per la distanza a cui erano posizionati potevano sembrare un unico letto matrimoniale, una scrivania in legno chiaro e un armadio piccolo da dover condividere.
“Per il momento è la cosa migliore!” Si dissero, speranzosi di fare fortuna e di permettersi un alloggio migliore. Jasper di tanto in tanto si lamentava, per lui abituato alle stanze vuote di un’ala del palazzo solo per lui, in quell’anfratto non c’era spazio, privacy, solitudine; Edward invece, con l’anima da sognatore incallito che si ritrovava, forse ancora più del suo amico, non gli dispiaceva così tanto: si trovava in Francia, il resto non era importante. Aveva lasciato la sua cittadina, la sua casa e i suoi agi, la ristrettezza che il titolo della sua famiglia gli faceva sentire addosso, questa per lui era libertà e felicità. Quando si affacciava alla finestrella della loro camera e poteva osservare i tetti delle case, i palazzi, le strade che si diramavano in viottoli stretti come i rami degli alberi che abbellivano la vista, si sentiva a casa.
Sentiva che quello era il suo posto.

Con il tempo, però, si resero conto che farsi conoscere in una città così grande e popolosa era difficile, molto più che nella loro cittadina. Nessuno tra quelle strade conosceva il buon nome dei Cullen o degli Hale e più volte si trovarono a rimpiangere i bei tempi delle spalle coperte dalle loro famiglie. Non si persero d’animo, comunque, rimboccandosi le mani riuscirono a racimolare il giusto per vivere alla giornata. Jasper dipingeva per i passanti, chi acquistava i suoi quadri sorrideva e lo ringraziava per la bellezza di ciò che sapeva raffigurare; aveva un grande talento che nell’arco di un breve periodo iniziò a renderlo noto in città tra gli artisti.
Edward era stato, invece, più fortunato.
Era riuscito a trovare un posto come pianista al Moulin Rouge.
Harold lo trovò a suonare all’interno di un piccolo ristorante dove Edward lavorava qualche sera a settimana, intrattenendo gli ospiti che cenavano a lume di candela. Gli aveva offerto un lavoro, riconoscendo la sua bravura, e una camera all’interno del palazzo in cui alloggiavano gran parte delle ballerine e dei musicisti alle sue dipendenze.
Quel locale era qualcosa di indescrivibile.
Le luci erano così accecanti, brillanti per qualche minuto ed il momento dopo basse o buie tanto che lo disorientavano. I primi giorni fece fatica ad ambientarsi, poi imparò a concentrarsi solo sugli spartiti, sui tasti color avorio e fu capace di lasciare tutto il resto fuori. Aveva capito subito che quel locale, quel covo di uomini ricchi sfondati ed eleganti, con nomi seguiti o preceduti da titoli nobiliari era un bordello. Le ballerine non erano semplici intrattenitrici o semplici attrici, erano donne che si facevano pagare per continuare lo spettacolo negli appartamenti vicini al locale: signorine del malaffare.

Lui e Jasper avevano avuto modo di intrattenersi con qualcuna di loro, erano belle con un gran corpo e un’esperienza tra le lenzuola che Kate, la ragazza della locanda “Denals” a poche miglia ad Ovest della loro tenuta in Inghilterra, in mezzo alla campagna più fitta, poteva solo sognare di notte.
Dopo un incontro, però, era tutto finito: non c’erano sentimenti, emozioni e per il loro spirito allegro e alla giornata era meglio così. Non potevano permettersi delle relazioni, tanto meno con delle ragazze di quel genere.
Chissà le loro famiglie cosa avrebbero pensato!

Si divertiva, godeva delle attenzioni che le ballerine gli ostentavano, continuava a frequentare Jasper fuori dagli orari di lavoro, era libero di suonare il pianoforte come piaceva a lui, niente in quel momento poteva importargli di più. La pensava così Edward, ma tutte queste sicurezze vennero spazzate via dall’arrivo di una ragazza minuta e castana, di origine italiana, all’interno del Moulin Rouge.
Isabella, arrivò qualche mese dopo che Edward aveva cominciato a lavorare al locale.
                         
Era dovuta scappare da casa a causa di uno scandalo che aveva investito con forza la sua famiglia. Lei e la sorellina più piccola, Alice, erano state concesse in moglie a due industriali austriaci dell’epoca. Entrambe avevano conosciuto i due uomini e non erano state contente della scelta che il padre aveva fatto: i due uomini erano molto più grandi di loro e puzzolenti, la loro pelle trasudava olezzi che neppure il sapone più costoso sarebbe riuscito a levargli.
Tutto sembrava procedere con grande calma, le nozze erano state sospese grazie al discorso che Bella tenne per persuadere suo padre a non farle sposare quell’uomo e di non cercare marito per Alice, ancora così piccola. La situazione precipitò, però, quando durante l’estate il padre delle due aveva deciso di permettere alle due ragazze una vacanza all’interno della tenuta di questi due omaccioni austriaci, che furono decisamente più persuasivi di lei.
Da lì un tracollo, la disperazione e la rabbia che le portarono alla decisione di scappare.
L’uomo destinato ad essere il marito di Alice non aveva rispettato i termini pattuiti con il padre delle due, il quale si era fatto promettere, nel buon nome della famiglia da cui provenivano, che non le avrebbero toccate neppure con un dito. Dopo solo qualche giorno che erano piombate in quella residenza fredda e grottesca, ad Alice era stata rubata la sua virtù senza il consenso e con una forza tale da non permetterle di ribellarsi.
Isabella, che sapeva e sentiva di avere la responsabilità della sorella minore, organizzò un piano per la fuga. Avrebbero oltrepassato il confine francese e avrebbero raggiunto Parigi, mischiandosi alla numerosa popolazione del posto.
“Non avere paura Al, ci penso io a te d’ora in poi.” Le aveva promesso mentre viaggiavano in treno allontanandosi da casa e dalla perdita di rispetto verso sé stesse.
La Francia sembrava la meta più raggiungibile. Isabella pensò a versare nei bicchieri dei due austriaci una grande quantità di vino, mescolato ad un infuso di valeriana e alcune gocce di un tranquillante che il medico le prescrisse prima di affrontare il lungo viaggio in treno qualche giorno prima. Quando i due crollarono alla fine del pasto nei loro letti, con ancora i vestiti indosso, Isabella e Alice raccolsero da sotto il letto il grande bagaglio che si erano premurate di preparare durante il giorno e affrontarono, a piedi, il lungo tragitto verso la stazione del paese. Non potevano acquistare biglietti o farsi vedere, per cui salirono al volo su un treno che trasportava fieno e bauli di vestiti e si nascosero grazie al buio della notte. Scesero quando il treno si fermò del tutto, attraversarono il resto del percorso che restava al confine svizzero-francese a piedi, passando per i campi e nascondendosi in vecchi fossati ormai asciutti e puliti. Ci misero giorni, settimane. Raggranellavano tocchi di pane e formaggio qui e là nei paesi vicini, nelle ceste che restavano incustodite per qualche secondo fuori dalle botteghe. Quando finalmente acquistarono il biglietto del treno che le avrebbe portate a Parigi si rilassarono entrambe, addormentandosi profondamente.
Parigi però non era come se l’aspettavano e la folla che imperversava nelle strade le faceva sentire piccole e impaurite. Trovarono alloggio in una camera matrimoniale a pochi soldi, in un palazzo fatiscente e sporco, con la tappezzeria bruciacchiata da qualcuno in precedenza, un armadio piccolissimo che a mala pena permetteva loro di appendere i cappotti ed un bagno che aveva una vasca talmente piccola da impedire l’allungamento delle gambe, anche per persone piccole come loro. La cosa che le aveva fatte optare per quella stanza, nonostante tutto, era la vista. Era situata in un quartiere apparentemente tranquillo, un palazzo che seppur mal ridotto era rispettabile e la Tour Eiffel che si scorgeva in lontananza. Era un sogno.
Per due ragazze come loro, senza famiglia alle spalle, senza un uomo al loro fianco, senza esperienza di lavoro o raccomandazioni c’era poco da fare, poche alternative valide e oneste. Mentre girovagavano alla ricerca di un impiego che assicurasse l’affitto della stanza e un pasto caldo ogni giorno, incontrarono Harold: un omaccione grassottello e ben vestito, con i baffetti impertinenti e uno sguardo malizioso in volto. Parlò loro del suo locale, gli promise un posto confortevole, pasti caldi, un medico e sicurezza, fu così persuasivo che le due giovani ingenue accettarono senza dubbio.
Quando la prima sera si accorsero di che genere di locare fosse, avrebbero voluto raccattare gli abiti per scappare a gambe levate. Quello non era posto per loro.
Erano pur sempre due ragazze rispettabili e formate, degne di un duca o di un barone, non di un bordello. Nessuno sembrava capirle, le osservavano come se non capissero il perché del loro timore; poi una ragazza tra le varie ballerine si avvicinò abbracciandole strette.
“Mi chiamo Monique, vedrete che questo lavoro vi farà bene, vi formerà e vi darà un alloggio e dei pasti caldi. Gli uomini non sempre sono così volgari e barbari. E’ un trampolino. Potreste essere accasate nell’arco di qualche mese e non preoccuparvi più di dover lavorare!”
Loro non volevano accasarsi, loro volevano vivere in pace con indipendenza.
Convinte di poter respingere per sempre ogni uomo che chiedeva i loro servigi, impararono le coreografie e i balli con difficoltà e impararono a recitare la parte delle cortigiane al meglio. Più erano brave più le gonne si riempivano di denaro che sarebbe rimasto tutto loro.
A fine serata, o a fine spettacolo, un uomo si avvicinava, si presentava galante e insisteva perché gli fosse mostrata la camera in cui alloggiavano.
Col susseguirsi insistente di richieste non poterono rifiutarsi all’infinito, cercare un altro lavoro a Parigi capirono essere impossibile per cui decisero di concedersi.
La loro vita era segnata da uomini ricchi e arroganti che usavano le donne a scopi sessuali senza amarle davvero, e così sarebbe rimasta per sempre. In quel bordello le loro speranze si affievolirono giorno dopo giorno, rendendole ormai rassegnate ed etichettate come cortigiane tutto il resto della loro esistenza.

L’unica tra le due che si sentiva un po’ meglio da qualche tempo era Alice, superato lo shock iniziale e i cambiamenti radicali che la vita aveva subito, si era ripresa ed aveva trovato gioia nel camminare per le strade di Parigi ad osservare i pittori che dipingevano. Ciò che la rendeva più allegra era un ragazzone biondo e riccioluto, che ogni sera aveva un fiore per lei e che era stato più volte nella sua camera da letto. Sapeva bene che innamorarsi era un lusso in quei tempi, che non poteva permetterselo, che un pittore squattrinato non faceva per lei al momento… eppure non poteva assolutamente impedire al cuore di battere più forte al solo pensiero di rivederlo.
Isabella, invece, si sentiva sempre più affranta al contrario della sorella, l’uomo che aveva desiderato sin dal primo momento in cui era entrata al locale di Harold, era già impegnato con tutto il resto delle ballerine del Moulin Rouge.
Edward, il pianista, passava ogni sera nella camera della ballerina che nessun borghese aveva scelto, oppure il tempo libero pomeridiano o la mattina, prima della colazione, non gli importava l’ora o il momento, gli bastava avere qualcuna con cui divertirsi. Lei lo osservava camminare per i corridoi o salire le scale mentre lei raggiungeva la camera di sua sorella per fare colazione insieme. Ogni volta lo salutava con un sorriso smagliante ed ogni volta veniva ricambiata da un sorriso composto e freddo. Sperava di farsi notare, che si accorgesse di lei e, volta dopo volta, restava delusa dalla distanza che metteva tra loro.
Si chiese cosa avesse fatto a quel ragazzo così affascinante, dai capelli color del bronzo, con gli occhi più verdi delle foglie degli arbusti delle rose. Lui proprio non la degnava di attenzioni.

Erano settimane, intere e lunghe settimane, che si intratteneva ad osservarlo durante le prove pomeridiane. Edward se ne stava seduto sullo sgabellino del pianoforte, poggiava le dita sui tasti color avorio e iniziava a muoverle saggiamente: nella sala si diffondeva una musica meravigliosa.
Isabella amava la musica, era capace di donarle la serenità che cercava. Aveva un giradischi in camera, vecchio e mezzo scassato perché raccolto dall’immondizia, quando voleva rilassarsi ascoltava qualche pezzo leggero e delicato, dischi trovati in svendita ad un baracchino dell’usato; c’erano anche momenti in cui voleva darsi coraggio, caricarsi per affrontare la serata e allora sceglieva qualche musica con ritmo forte e deciso. La sua preferita, comunque, restava sempre quella che lui decideva di suonare.
Non riusciva a provare davvero, con concentrazione, perché si perdeva sempre a guardarlo, osservarlo, desiderarlo fino a poter perdere i sensi. La concentrazione, poi, scappava per diventare rabbia quando notava che Tanya, una ballerina come lei, si aggirava sempre attorno a lui, senza provare come le altre: “Perché non ne ho bisogno!” Ripeteva altezzosa continuamente.
Si sedeva sulle sue gambe muscolose, gli accarezzava le braccia definite, sussurrava nel suo orecchio e lasciava baci lascivi sul collo. Si impossessava di lei una gelosia e un sentimento d’odio potentissimo. Tanya era una di quelle che si liberava sempre se Edward voleva fare un giro in camera sua, era bella, oggettivamente bella, i capelli erano rossi, ma non quel colore acceso da sembrare volgare, era piuttosto quel colore un po’ spento che attirava gli sguardi. Sul volto e sul corpo delle piccole lentiggini chiare che davano alla sua pelle un colore particolare e attraente. Ma aveva una marcia in più: il suo seno era prosperoso, morbido, stava su come per magia e lei lo valorizzava con corpetti che strizzavano le tette e le portavano al limite dell’esplosione. Era per questo che gli uomini sceglievano lei, gli uomini… e Edward. Non sapeva cosa significassero quelle strane morse allo stomaco, non sapeva come comportarsi, ma sapeva di dover fare qualcosa.
Iniziò a farsi desiderare, a curarsi ancora di più, a far capitare cose apparentemente casuali che l’avrebbero messa in mostra ai suoi occhi. Era stanca di sentirsi abbattuta per non essere riuscita a farsi notare fino a quel momento, ma Isabella lo sapeva, se si impegnava a fondo riusciva in ogni suo intento! Di tanto in tanto avevano chiacchierato, solo poche cose; era riuscita a sapere che non era originario della Francia, che era arrivato a Parigi dall’Inghilterra e che ancora non sapeva cosa voleva dalla vita. Lei dal canto suo era sempre apparsa timida e distaccata, rispondendo alle sue domande con deboli frasi, talvolta solo monosillabi.
Era stanca, però, di sentirsi così debole, così impacciata e chiese aiuto a Monique, senza spiegarle a cosa le servissero tutte quelle frivolezze.

Il primo giorno si fece trovare in difficoltà sulle scale, la gonna del vestito impigliata in una scheggia di legno e la posizione precaria. Edward, per caso, passava di lì esattamente in quel momento, uscito dalla camera di Tanya ancora ne portava il profumo addosso. In quel momento Isabella voleva urlare, ma lasciò che lui l’aiutasse con calma e gli regalò un sorriso malizioso quando lui le sollevò la gonna per sganciarla, mettendo così in mostra le sue gambe nude e lunghe, snelle ed eleganti.
Dopo qualche giorno, durante le prove pomeridiane, si prese una pausa di riposo e prese posto sulla scalinata in fondo alla sala, direttamente di fronte al pianoforte dove Edward suonava. Fece finta di controllare qualcosa nella scollatura e piano piano la tirò giù un pochino, centimetro per centimetro, guardando con la coda dell’occhio l’uomo di fronte a se.
Cercò sempre di tenere i capelli raccolti, lasciando buona parte della sua scollatura libera da ogni impiccio, per poter essere guardata. Mise un profumo nuovo, qualche goccia di una fragranza trovata sulla toletta di Alice e gli passò accanto, sperando che arrivasse fino alle sue narici.
Nonostante tutti questi sforzi dopo due settimane ancora non aveva raggiunto nessun risultato… decise allora di giocare diversamente le sue carte.
Edward restava sempre qualche tempo in più in sala, finite le prove, per suonare un po’ il pianoforte senza orecchie indiscrete che potessero ascoltarlo, anche se le pareti leggere di quel locale poco facevano per nascondere il suo operato. Un pomeriggio, stanca di dover combattere perché lui si accorgesse di lei, fece finta di dimenticarsi qualcosa nella sala e, accertatasi che nessuna delle sue compagne fosse nei paraggi, entrò rumorosamente.
Edward si voltò smettendo di suonare e lei arrossì sotto il suo sguardo, poi sorrise scusandosi. Si rese conto che era quello il motivo per cui lui non si accorgeva di lei, era imbranata nell’arte della seduzione e timida, non come le altre sfacciate delle sue compagne.
“Non pensavo ci fosse qualcuno, vado via subito… ho solo dimenticato… ” Non continuò la frase, procedendo invece verso l’altra parte della sala e raggiungendo uno dei tavolini dove era solita poggiare le sue cose. Aveva lasciato lì uno scialle, proprio per avere il pretesto di tornare.
“Non preoccuparti Isabella, stavo solo sgranchendo le dita.” Disse lui sorridendole appena. Il cuore di lei prese a battere forte. “Forse ci siamo!” pensò in mente sua. Era così attraente, così bello… e le sue dita erano meravigliose. Per non parlare di quelle labbra che le sembravano il frutto migliore al mondo. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sentirle sulla sua pelle, almeno una volta, le ragazze parlavano di lui come un mago sotto le lenzuola, ne descrivevano le abilità e la solita frase era “Non c’è neppure da paragonarlo a tutti gli altri uomini gretti e volgari, lui si prende cura della sua donna e del suo piacere!”
Sì, avrebbe dato qualsiasi cosa per passare una sola notte con lui, almeno una.
“Beh, complimenti. Non mi intendo molto di musica e pianoforte ma quello che ho sentito era davvero bellissimo!” Fece qualche passo verso di lui, per approfondire la chiacchierata.
“Uh… grazie!”
“Vorrei saper suonare anch’io questo strumento, l’ho sempre trovato affascinante!” Lei continuò ad avanzare, con qualche altro passo lento, fino a fermarsi di fianco al pianoforte.
“Io trovo te affascinante!” Avrebbe voluto dire lui, ma si fermò prima di rovinare quella specie di amicizia che stava nascendo tra i due.
Lui si sentiva sempre più vicino a lei, voleva disperatamente conoscerla, in quelle ultime settimane l’aveva torturato con quei bustini più stretti, con quel modo di far scendere la scollatura o le gambe in mostra per qualche secondo. I pantaloni erano sempre stretti quando lei si trovava nella sua stessa sala, anche solo a pensarci. Allora si sfogava con altre ragazze, anche se non era mai quello che desiderava. Non voleva sporcarla ancora di più, lei si vendeva agli altri uomini per vivere, non voleva essere uno dei tanti, non voleva che lei pensasse di essere una delle tante.
Adesso erano lì, entrambi troppo timidi per dichiararsi, chiacchieravano con imbarazzo e timidezza, senza sapere i pensieri l’uno dell’altra.
“Anche se è uno strumento complesso, con dedizione si riesce a imparare anche da adulti!” Rispose Edward, strofinandosi le mani sui pantaloni di stoffa, cercando di far passare il sudore e la voglia di afferrarla stretta e toccarla, baciarla, leccarla fino a sentirla gridare dal piacere.
“Quindi c’è ancora speranza per me?” Chiese Isabella sorridente.
“C’è speranza per tutto nella vita, Isabella!” Lui rispose sorridendo dolcemente, mentre lei scuoteva la testa con un po’ di malinconia. Non c’era speranza per tutto, lei lo sapeva bene.
“Vorresti insegnarmi a suonare il pianoforte, Edward?” Si fece più intraprendente, ancora una volta, cercando di passare del tempo con lui, di trovare una passione in comune che permettesse loro di vedersi fuori dal lavoro. Lo desiderava, sentiva il suo profumo di uomo anche a quella distanza e voleva morderlo, baciarlo, sentire le sue mani sulla pelle.
“Io… non posso!” Disse subito lui, dandosi dello stupido mentalmente in seguito. A volte si sentiva così deficiente!
“Oh, cercherò un altro maestro altrove! Scusa il disturbo, ci vediamo.” Cercò di dissimulare la sua delusione usando un tono normale ma non era un’attrice, gli occhi la tradivano. Edward sospirò e si preparò a sentire la porta sbattere, era stato proprio uno scemo. Quando però lei gli passò vicino inciampò in qualcosa che era sul pavimento, o forse solo sulle scarpe slegate, e perse l’equilibrio.
Edward si sporse immediatamente e la sostenne per la vita, cercando di mantenerla in piedi e non farla cadere.
“Scusa, sono la solita imbranata!” Le guance di lei erano di un rosso porpora, era deliziosa e quella timidezza, quella tenerezza, lo eccitavano oltremodo. Era un dannato cretino a pensare una cosa del genere, ma non vedeva l’ora di affondare in lei ripetutamente guardando la sua pelle rossa per la fatica e il piacere che le donava.
“Non ti preoccupare.” Si guardarono per un momento negli occhi, sempre più vicini, le labbra quasi ad un passo… poi lei gli diede le spalle e scappò via. Non riusciva a capire lo sguardo di Edward, era un’incognita, come se fosse spinto in due diverse direzioni, fare il carino con lei e restare solo amici, o ignorarla. Entrambe però le facevano male il petto.
Edward invece pensava a come fare per non lasciarsi andare, come riuscire a non andare all’interno del palazzo, salire i due piani di scale e arrivare fino alla camera di lei, appena un piano sotto la sua, per poi chiudersi lì dentro per giorni.

Non ancora rassegnata Isabella fece l’ultimo tentativo. Se non avesse funzionato con quello che aveva in mente avrebbe lasciato stare la conquista di quell’uomo e si sarebbe dedicata ad altro.
La sera prima l’aveva visto entrare nella camera di Tanya, sapeva che non sarebbe uscito prima della mattina. Lei aveva dovuto passare la notte con un barone un po’ troppo eccessivo per i suoi gusti, ma quando all’alba, lasciandole dei soldi sul comodino, sparì prima ancora del canto del gallo, si alzò di tutta fretta e si preparò.
Quando Edward uscì dalla camera di Tanya lo fece in silenzio, la ragazza ancora dormiva e l’aveva lasciata riposare. Era da poco sorto il sole e sapeva che doveva sbrigarsi a tornare nel suo alloggio prima che Isabella lo vedesse. Odiava quando lei lo scopriva frequentare altre donne.
Quella mattina però il destino non era dalla sua parte, perché Isabella si trovava proprio lungo il suo percorso. Sgranò gli occhi quando la vide per terra, tra il corridoio e la porta. Si affrettò e la raggiunse parlando piano.
“Isabella, stai bene? Che è successo?” Lei scosse il capo arrossendo.
“Niente, non preoccuparti! Sono solo caduta, non so, ho piegato il piede malamente e mi sono ritrovata per terra!” Sentiva la gola bruciare e quella sensazione di quando stava per mettersi a piangere. Avrebbe voluto farsi trovare sulle scale per chiedere a Edward di fare colazione con lei dato che era già lì. Aveva indossato un vestito bluette con un bustino strettissimo e una generosa scollatura. Poi aveva sentito la porta di Tanya aprirsi e si era infilata le scarpette senza allacciarle bene, per fare in fretta era scivolata e si era ritrovata per terra, sconsolata e affranta. Edward di certo non la trovava eccitante così, stesa come un sacco di patate, ed era sicura che da un momento all’altro si sarebbe messo a ridere.
“Sei la solita pasticciona!” La stupì lui con voce tenera. Si avvicinò e la prese tra le braccia, infilandosi in camera di Isabella e deponendola sul letto. Lei non capì più nulla. “Chiamo il medico, ma tu stai ferma qui d’accordo?” Isabella scosse la testa velocemente, sapeva che non poteva permettersi di chiamare il dottore o Harold l’avrebbe lasciata a casa perché non poteva più ballare.
“No, per favore…” Lui dovette capirlo perché sospirò pesantemente e tornò a chiudere la porta che era rimasta aperta.
“Allora vorrà dire che darò un’occhiata al tuo piede, se mi preoccupa sentirai il dottore, se invece è solo dolorante starai a riposo per qualche giorno, parlerò io con Harold se devo, dirò che sei malata, e che hai solo bisogno di riposare.” Il modo in cui si prendeva cura di lei sembrava assurdo anche a sé stesso, ma ignorò i dubbi e prendendo la gamba di Isabella tolse la scarpa sentendo un lamento dalle sue labbra. “Scusa” Disse piano.
Fecero silenzio entrambi per numerosi minuti, lei godendosi il calore delle mani di Edward che l’accarezzavano; lui approfittando di quel momento per bearsi della morbidezza della pelle di Isabella.
La voleva sempre di più.
Lo voleva sempre di più.
“Allora dottore, come sto?” Cercò di scherzare lei.
“Non mi preoccupa, ma non vorrei che stessi male nei prossimi giorni, quindi stai a letto e riposati fino a domani, dirò ad Harold che non ti senti bene!” Si era alzato ed aveva posato con gentilezza la gamba di lei sul letto.
“Non posso, Edward!”
“Oh sì che puoi!”
“Uno, non ho fatto colazione, due non ho nessuno che si occupa di me, tre devo guadagnarmi da vivere!” Sbottò lei con rancore. Non era possibile che si trovassero nella stessa camera, con la porta chiusa e lei già stesa sul letto e lui… lui se ne stava andando. Sembrava un incubo.
“Ti porterò la colazione tra qualche minuto, dirò a tua sorella cosa è accaduto e per qualche giorno di riposo Harold non ti licenzierà! Ora non contraddirmi!” La voce imponente ma bassa, perché dal di fuori non si sentisse, la fece bagnare sotto. Desiderava ardentemente baciarlo, zittirlo, o farsi comandare mentre sbatteva dentro di lei selvaggiamente.

Quando tornò un quarto d’ora più tardi aveva un vassoio tra le mani. Una tazza di caffelatte, un croissant dolce, della confettura che producevano delle signore nelle campagne attorno a Parigi e un paio di panini al burro che lei adorava.
Edward lo sapeva.
Ogni mattina che si trovava a fare colazione in quel posto aveva osservato ciò che Isabella preparava sul suo vassoio. Non amava la baguette appena sfornata o qualche dolce che preparavano le cuoche in cucina. Lei divorava i panini al burro spalmandoci sopra quella delizia di frutta. E lui si perdeva a guardarla ogni volta, eccitato dalla vista di lei che con la lingua puliva le sue labbra.
“Grazie!” Disse debolmente mordendosi il labbro inferiore.
“Di niente. Ora vado, per qualsiasi cosa fai chiamare Alice, le ho detto cos’è successo e mi ha promesso che verrà da te subito dopo aver finito in sala da pranzo.”
“Mi spiace averti dato disturbo…” Mormorò Isabella a bassa voce, guardando al suo vestito che non aveva sortito nessun risultato. Lui si avvicinò di qualche passo.
“Non disturbi mai Isabella!” La sua voce calda le provocò una serie di brividi e sorrise arrossendo.
“Posso chiederti un favore? Puoi chiamarmi solo Bella? Solo tu…” Se gli rimaneva solo l’amicizia almeno poteva farsi chiamare come più desiderava, e non con quel nome lungo e così freddo, così distaccato. Lui sorrise alzando l’angolo della bocca, quello sinistro, verso l’alto e lei lo trovò magnifico. Era così bello, così uomo, così virile e allo stesso tempo così dolce. Un incontro perfetto dell’uomo che lei voleva al suo fianco.
Si abbassò verso di lei, per arrivare al suo orecchio. Era stanco di tutto questo distacco tra loro, voleva provarci, buttarsi. Da quando era arrivata non riusciva a staccarle gli occhi di dosso e negli ultimi tempi era così difficile resistere. Ma non voleva che fosse una nottata di sesso e basta, lui sentiva qualcosa… lui voleva di più.
E la voleva.
Voleva provarci.
“Buon riposo… Bella!” Soffiò nel suo orecchio, con la voce più sensuale che riusciva a fare lasciando poi un bacio lento e con labbra umide sulla guancia. Si girò velocemente, non prima di aver visto le guance di lei colorarsi di quel rosso che amava, ed uscì.

Gli prese un colpo quando il pomeriggio la vide in sala. Scarpette da ballo, abito per le prove e i capelli raccolti. Non si era forse raccomandato che restasse a riposo?
Lei però non riusciva a stare lontano da lui, per cui si era preparata, sperando di non sentire dolore al piede ed aveva raggiunto le compagne. Quando i suoi occhi incrociarono quelli di Edward sussultò. Era arrabbiato. Con lei? Cosa aveva fatto?
Alzò una mano per salutarlo e lui sbuffò. Sbuffò proprio.
Sgranò gli occhi per quel gesto maleducato, come era possibile che fosse lo stesso uomo che la mattina si era preso cura di lei?
Voleva avvicinarsi, abbracciarlo, lasciargli un bacio sulla guancia come quello che lui le aveva dato prima di andar via, soffiargli nell’orecchio tutte le cose che voleva fargli e poi sedersi in braccio a lui e baciarlo, toccarlo e…
“Non ti avevo detto di restare a riposo?” Sentì la sua presenza alle spalle e solo in quel momento si rese conto che le altre erano tutte attente a chiacchierare tra loro sedute, in pausa. Lui le aveva sussurrato nell’orecchio, avvicinandosi fino a poggiare il petto alla sua schiena.
“Devo lavorare per vivere, Edward!” Gli rispose piccata.
“Erano solo due giorni di riposo… è da quando sei arrivata che non fai altro che ballare, sculettare e agitare le tette!” Il suo tono deciso ma sussurrato per non farsi sentire da tutte la fece bloccare. Nessuno le aveva mai parlato così prima di quel momento, da quando era arrivata nessuno mai si era permesso di metterla di fronte al suo lavoro, allo squallore.
“Come ho già detto, devo lavorare per vivere!”
“Oh, sei esasperante Bella!” Disse d’impeto passandosi una mano tra i capelli. Non voleva che si stancasse, non voleva che mettesse a rischio la sua caviglia, ma lei era testarda.
“Cosa vuoi da me, si può sapere? Tu comunque sei un gran cafone. Rinfacciarmi il mio lavoro non è molto galante, conoscendo la mia situazione… come se tu facessi un lavoro tanto gratificante poi!”
“Ehi, vai piano! Non volevo offenderti prima… dicevo solo che…” Si trovava in difficoltà, solo dalle sue parole aveva capito che in qualche modo si era sentita offesa. Non voleva assolutamente umiliarla.
“Che?”
“Che sarai stanca, non hai mai preso un giorno di riposo. Hai lavorato anche quando stavi poco bene, ora devi fare attenzione!”
“Ti preoccupi per me?” Chiese lei di botto, sorpresa per le sue parole calme e tranquille, piene di significati strani per lei.
“Se fosse ti dispiacerebbe?” Ci stava provando. Ci stava provando davvero.
“No, è bello che qualcuno si preoccupi per me…” Rispose sorridendo e accarezzandogli un braccio.
“Ti piacerebbe che mi preoccupassi per te? Io?” Non sapeva neanche quello che stava dicendo, ma lei allargò gli occhi sorpresa.
“Cosa… cosa… vuol dire?”
Neppure Edward lo sapeva, ma si abbassò vicino al suo orecchio sorridendo, facendole credere che le avrebbe detto la rivelazione dell’anno.
“Se io, Edward… mi preoccupassi per te, come… come qualcosa di più che un amico… saresti contenta?”
Isabella rabbrividì e Edward lo notò compiaciuto. Entrambi sorrisero stando comunque in quella posizione, lui piegato verso l’orecchio di lei. Fece appena in tempo a sentire il suo tenue, prima di essere trascinato via da Tanya per ricominciare le prove.
Iniziava ad odiare quella ragazza.

Edward si sentiva strano quella sera, aveva come un presentimento. Non capiva se era un cattivo o un buon presagio. Continuava a camminare su e giù per la sua camera, con le mani che tremavano e sudavano ed una voglia matta di uscire dalla porta e infilarsi in quella di Bella.
Quel pomeriggio si era arrabbiato tantissimo nel vederla provare, doveva avere più cura della sua salute e sperava solo che quella sera restasse in camera. Sarebbe passato alla fine della serata per vedere come stava, sperando che non dormisse già. Quella sera non voleva la compagnia di nessuna, sarebbe stato solo, come molto tempo prima. Voleva liberarsi dal corpo di ogni ragazza lì dentro per poter far capitolare Isabella, una volta per tutte.
L’aveva guardata da distante per tutti quei mesi e ci aveva scambiato pochissime parole, eppure si era innamorato dei suoi movimenti, della leggerezza con cui camminava, del portamento fiero, dello sguardo limpido. Era una ragazza speciale e bellissima. I capelli scuri lasciati sciolti le ricadevano sulla schiena in morbide onde che voleva accarezzare, la pelle così candida che sembrava il colore di una rosa, le labbra rosse e piene che gli facevano venire voglia di baciarla per ore. E poi le gambe… le gambe di lei quando erano scoperte erano una meraviglia e le immaginava mentre si allargavano per permettergli di entrare in lei per poi chiudersi attorno al suo bacino. Quei pensieri, quelle immagini nella testa, lo fecero sorridere e dovette aggiustarsi i pantaloni per non sembrare sconveniente. Scese di sotto, nella sala grande, pronto per entrare in scena. La sua postazione, insieme a quella degli altri musicisti era nascosta, in un angolo illuminato sempre, anche quando la pista era buia per il gioco di luci dello spettacolo del momento. Nessuno si accorgeva di loro. Nessuno tranne Isabella.
Lei era tra le ballerine posizionate al centro della sala, pronte in posizione davanti a tutti quegli uomini pronti a toccare, pronti a lasciare mance generose e garantirsi l’accesso in camera da letto per quella notte.
Lei lo vide sedersi sul suo sgabellino e come se lo percepisse, Edward si girò. I loro occhi si incatenarono e lei sbiancò dalla durezza del suo volto. Era incazzato come una bestia. La mascella contratta e le labbra serrate erano un chiaro segno della rabbia che lo pervadeva e i pugni chiusi sulle gambe anche. Non sapeva se era per colpa sua, ma immaginava di sì dato che non aveva rispettato il riposo neppure per quella sera. Eppure aveva una voglia matta di chiuderlo in camera, spogliarlo velocemente e baciarlo, morderlo, leccarlo, tastare la consistenza delle sue braccia con le mani, del suo petto. Aveva voglia di allargare le gambe per lui e guardarlo mentre entrava dentro di lei. Si sentiva una sporcacciona, ma era l’unico che gli faceva venire voglia davvero di fare sesso.
Edward, dal canto suo, la fissava negli occhi e anche nella scollatura che il vestito per la serata offriva a lui… e a tutti gli altri presenti. Era infuriato. Non l’aveva ascoltato neppure quella sera. Sapeva bene che lei faceva quello che voleva, non era nessuno lui per poterle dare ordini, ma si preoccupava, gliel’aveva spiegato quel pomeriggio, perché non l’aveva accontentato?
E poi se ne stava con lo sguardo fisso su di lui e lo faceva sentire a disagio perché quegli occhi se li immaginava la notte. Immaginava di tenerla sotto di lui, con le braccia alzate sopra la testa e tenute forte da una sua mano, i seni alti che gli arrivavano in bocca e lui che spingeva dentro di lei più volte, furiosamente.
Quegli occhi erano la sua rovina.

Harold arrivò, come ogni sera, prese il suo bastone e lo alzò al cielo, quando lo mosse verso il basso la musica iniziò e la serata ebbe inizio. Edward sapeva i pezzi a memoria, ogni nota, ogni tasto da premere, era una fortuna, così poteva cercare Isabella in mezzo alla folla.
Stando a lungo in quel posto le luci non gli davano più fastidio, si era abituato ai giochi dei ragazzi che muovevano i fari, il problema era solo individuare lei. Ci mise tanto perché il pezzo che ballavano era frenetico, per caricare i clienti e gli spettatori. Poi la vide e sorrise. Nonostante la caviglia dolorante ballava e sorrideva. Nonostante fosse costretta a mostrare le gambe, a fare la maliziosa con gli uomini e a portarseli in camera ogni sera per soddisfarli, non si era mai lamentata, aveva sempre tenuto la testa alta, sentendosi orgogliosa di potersi comprare quello che voleva, fuori di qui.
Lei ballava e ballava, muoveva le gambe, una giravolta, due… e poi la mente pensava al rossiccio seduto dietro di lei, con le mani a produrre quei pezzi meravigliosi.

I minuti trascorrevano lenti, troppo lenti. Loro si cercavano tra la folla.
Isabella guardava verso Edward in un momento di tranquillità e lui la seguiva per tutta la sala.
Quando la vide chiacchierare con un gruppetto di uomini sapeva già che quella sera non sarebbe potuto passare da lei. Lo stomaco si strinse e non voleva ammettere di provare gelosia. Scacciò il pensiero di corsa come era arrivato.
Era impensabile voler andare a tirarla via da lì, era il suo lavoro ed Edward lo sapeva bene.
Isabella si sentiva osservata, sapeva che lui la stava guardando e impallidì per un attimo. Non voleva dargli l’impressione sbagliata, anche se questo era il suo lavoro, il suo cuore era chiuso dentro una fortezza, voleva innamorarsi, fuggire da quel luogo e occuparsi di una casa, di alcuni bambini e avere sempre e solo il suo unico uomo nel letto.
Raccolse le mance che gli uomini le porgevano, tra complimenti e battutine maliziose e poi sgattaiolò via, facendo la preziosa. Aveva imparato bene e preso dimestichezza nel muoversi tra quella gente; le facevano ribrezzo ma pagavano bene e lei aveva già messo da parte un bel gruzzolo per i giorni e i mesi futuri. Non bastava però.
Avrebbe voluto tornare a fare il pane come faceva in Italia, o torte profumatissime e biscotti, che facevano venire l’acquolina in bocca. Desiderava ardentemente essere fuori da quel luogo e poter vivere libera.
E invece anche per quella sera sapeva che doveva avere qualcuno nel suo letto.

Harold non permetteva quasi nessuna pausa durante la serata, né alle ballerine, né al resto del personale. Lo sapevano tutti.
Eppure Edward volle sfidare la sorte.
Chiese al ragazzo dietro la parete se poteva chiamargli Harold che era a pochi passi da loro, sapeva che non sarebbe stato contento.
Quando gli arrivò accanto invece aveva uno splendido sorriso, profumo di soldi probabilmente!
“Ragazzo, mi cercavi?” continuando a suonare Edward annuì.
“Posso prendermi una pausa nel cambio della canzone? Giusto cinque minuti per andare in bagno e bere qualcosa…” Harold sorrise e poggiò una mano sulla sua spalla.
“Certo ragazzo! Chiamerò Eric che ti sostituisca, cinque minuti!”
I soldi facevano davvero miracoli.

Era veramente andato a bere un bicchiere di qualche liquore che servivano lì, uno forte che gli permettesse di non pensare a Isabella tutta la sera. Avrebbe avuto dei clienti e non poteva assolutamente irrompere in camera e farle perdere quei soldi.
Stava tornando dal bagno, nei corridoi sul retro del locale, quando la vide: un bicchiere in mano e la testa appoggiata al muro. Si avvicinò silenziosamente. Harold era davvero permissivo questa sera.
Era ancora nell’ombra, lei non lo poteva vedere e per stare più comoda si girò d’un fianco dandogli le spalle.
Fece gli ultimi passi che lo separavano da lei e passò le braccia attorno al suo corpo, una mano sulla bocca perché non urlasse dallo spavento e l’altra sulla pancia.
“Non ti avevo detto di stare a riposo? Ti piace disobbedire Isabella?” La voce di Edward era roca e calda, lei la riconobbe subito e si rilassò tra le sue braccia, appoggiando la testa al suo petto.
Sapendo che non avrebbe urlato lasciò andare la mano, liberandole la bocca, scendendo più giù in una carezza appena accennata le sfiorò il seno, la pancia, per finire sul fianco e tenerla attaccata a lui.
“Ed io ti ho detto che devo lavorare…”
“Se fossi mia ti punirei.” Isabella si irrigidì di nuovo, confusa da quelle parole. Iniziava ad avere paura. “Ti chiuderei in camera per giorni…” Edward continuava ad accarezzarle la pancia, salendo poi sulle braccia nude. “E ti mostrerei come ci si rilassa veramente.”
Lei sorrise a quelle parole, ora consapevole che non doveva temere nulla con lui. Ci stava solamente provando con lei ed era esattamente ciò che aveva voluto per settimane e settimane.
“Ma non sono tua.”
“Questo purtroppo lo so.”
“Purtroppo?” Lei chiese mentre lui mordicchiava un punto sotto l’orecchio.
“Devo andare… Harold mi ha concesso solo cinque minuti di pausa e ne ho già fatti dieci….” Disse Edward, senza però staccarsi da lei.
“Hai impegni per la nottata?” Lei accarezzò le sue braccia fino ad arrivare al collo dove lo graffiò piano, contenta che lui si sfogasse con le labbra sul suo collo.
“Perché me lo chiedi?”
“Pura curiosità!” Rispose sorridendo, sentendo l’intimo bagnarsi. Le mani di lui sulla pelle erano meravigliose.
“Avevo dei piani, sì… ma poi ho dovuto rinunciare!”
“Come mai?” La gonna troppo ingombrante del vestito non le permetteva di muoversi come voleva, non le permetteva di sentirlo come voleva. Gli passò le mani tra i capelli, passando le unghie sulla testa e sentì rilasciare un gemito dalla sua gola. Eccitante.
“La ragazza con cui pensavo di passare la nottata si è impegnata poco fa…”
Edward non voleva farla sentire in colpa, né però farle sapere che era lei quella con cui desiderava stare fino al mattino.
“Mi dispiace per te. Troverai qualcuna di disponibile, nel caso c’è sempre Tanya!” Lui la morse. Non sopportava più quella ragazza, era appiccicosa e non voleva starci insieme, né tantomeno finirci a letto ancora una volta.
“Aspetterò che lei si liberi…” Mormorò mordicchiando il lobo di Bella.
“Potrebbe volerci… tutta la notte!” Disse lei buttando giù il resto del liquido che era nel bicchiere. L’odore era così forte che arrivò alle narici di Edward.
“Da quando bevi?”
“Da quando sono costretta a passare la notte con un uomo che non desidero.”
Edward fece scendere le mani sui fianchi di Isabella e finì di torturarle il collo, sperando di non averle lasciato segni.
“Smettila di bere questa schifezza o ti ammalerai!”
“Ma se la bevi anche tu! Perché tu la bevi?”
“Perché stanotte sono costretto a stare da solo, dal momento che la donna che vorrei nel mio letto è costretta a passare la notte con un uomo che non desidera.” Le disse chiaramente Edward, togliendole ogni dubbio. Le uscì fuori un gemito e strinse le mani attorno a quelle di Edward, poggiate sul suo stomaco.
“Torno al piano, tu smettila di bere, per favore!”
La seguì con gli occhi quando si rimpossessò del suo posto sullo sgabello, sembrava serena e contenta, più di prima, e sperava che fosse merito suo e non di quel mezzo bicchiere di porcheria che aveva bevuto.
Quando Harold fece chiudere i battenti, Edward era davvero stufo di suonare e desiderava solo buttarsi a letto e dormire fino a mattina.
Tornando nella sua camera, dopo molto tempo da solo, vide Isabella che camminava cercando di scansare l’uomo che le metteva le mani sui fianchi. Ridacchiava stupidamente, lui sapeva che stava recitando la sua parte, cercando di rabbonirlo facendo la timida.
Avrebbe voluto correre verso di loro a spaccargli la faccia, invece proseguì per la sua strada, cercando di cacciarsi dalla mente quell’immagine. Era quasi giunto alla sua porta quando sentì un rumore di tacchetti dietro di lui. Si voltò appena in tempo per afferrare ciò che gli si era buttato contro. Lui era al terzo piano del palazzone, mentre Isabella stava al secondo piano. Eppure se la ritrovò tra le braccia, con le labbra incollate alle sue.
“Isabella dovresti essere di sotto!” La ammonì lui, tenendole comunque le braccia attorno alla vita e continuando a baciarla.
“Lo so…” Bacio “Gli ho detto che volevo festeggiare e che sarei andata a prendere qualcosa al bar!”
“Sei pazza lo sai?” Baciare Edward, era un sogno per lei.
Dopo che l’aveva lasciata in piena crisi d’identità dietro il muro al buio, ed era tornato al piano, aveva passato l’intera serata su di giri aspettando il momento in cui potevano stare soli. Era stata scontenta di vedere l’uomo che l’attendeva per quella notte, continuava a metterle le mani addosso e lei non lo sopportava. Lo scansava ma non poteva rifiutarlo. Così tornando in camera, lungo il corridoio aveva sentito qualcun altro salire le scale, si era voltata appena un secondo e l’aveva visto.
Edward.
Aveva voglia di passare la notte con lui, non con quel polipo che si ritrovava accanto in quel momento.
Quando entrò nella sua stanza sorrise e prima che lui potesse avvicinarsi si diede della stupida teatralmente.
“Piccolo, vado a prendere una bottiglia per festeggiare, aspettami qui… comodo!” Fare la gatta in calore le assicurava un bel guadagno e lei aveva bisogno di quei soldi per andarsene. Chiuse la porta e corse su per le scale, facendo attenzione che il suo ospite non la vedesse.
E ora era lì tra le sue braccia mentre la lingua di Edward lottava con la sua.
Le mani di Edward si erano posizionate sui fianchi, non si azzardava a muoverle per paura di non riuscire a fermarsi. Bella invece tirava i suoi capelli e graffiava, sempre più desiderosa di aprire la porta della camera di lui e mandare al diavolo quel tizio di sotto.
Quando lei gli morse il labbro, Edward si dovette allontanare.
“Scendi di sotto, prima che manda a puttane il tuo guadagno…”
“Edward…” Non sapeva cosa dire, non riusciva a capire il tono arrabbiato di lui. Pensava che anche lui la volesse, probabilmente però non quanto lei voleva lui.
Abbassò la testa sconsolata, aveva fatto una mossa sbagliata, l’ennesima.
“Io… mi dispiace…” Disse lisciandosi la gonna e guardando il volto di Edward che ora sembrava dispiaciuto.
“Bella…”
“No, ho capito…” Si allontanò di qualche passo, dandogli le spalle. Era stata stupida ad andare da lui, voleva solo baciarlo, fargli capire che lo voleva.
“No invece, non hai capito un cazzo!” Le rispose raggiungendola e prendendola tra le braccia, affondando il viso nell’incavo del suo collo.
“Edward!”
“Oh, non fare la perbenista con me, Isabella!” Ridacchiarono mentre la tensione scemava un po’.
“Mi dispiace per prima, non volevo… obbligarti!”
“Non mi hai obbligato! E mi dispiace di averti respinta così… ma se avessimo continuato, fidati, non saresti tornata di sotto… e non voglio farti perdere il cliente….”
Bella sorrise, scuotendo la testa, pensava sempre al suo benessere.
“Perché sei venuta da me?”
“Volevo che avessi qualcosa a farti compagnia stanotte…” Rispose lei sorridendo, girandosi tra le sue braccia.
Lui la guardò negli occhi e sorrise scuotendo la testa.
“Scendi, davvero, prima che decida di sbatterti al muro e scoparti in mezzo al corridoio!”
“E’ un’alternativa? Mi stai dando una scelta?”
Lui sorrise e scosse la testa.
“No… stasera non hai scelta.”
“Peccato!” Gli fece l’occhiolino e si staccò da lui velocemente scendendo i primi gradini. Poi si girò sorridendo. “Avrei scelto il muro, comunque!”
Si lasciò scappare un grugnito e tornò in camera. Si lanciò sul letto cercando di pensare a qualcosa che non fosse Isabella, quella sera aveva minato il suo autocontrollo.
Si ritrovava duro come la roccia, infagottato dentro quell’abito da pinguino e desideroso di tornare di sotto e far vedere a quel damerino come si sbatte al muro una donna, facendola gridare di piacere.
Si tolse i vestiti e si infilò a letto, aveva ancora l’immagine di Isabella tra le sue braccia mentre spingeva dentro di lei addossati ad un muro, con i capelli sparsi sulle spalle e la testa reclinata all’indietro. Il suo membro scattò, come alla ricerca di qualcosa, come se non vedesse l’ora di immergersi nella carne di lei, a contatto con i suoi umori. Si accarezzò piano attraverso il pantalone da notte, cercando di chetarsi, senza risultato.
Era stanco e i rumori attorno a lui lo mettevano a disagio quella sera, voleva disperatamente scendere di sotto e cacciare l’uomo che si stava sbattendo la sua donna.
Ma non poteva farlo.
E non riusciva a dormire.
Così chiuse gli occhi e pensò a qualcosa di bello.
Cercò di visualizzare qualcosa per calmarsi ma non ci riusciva.
Aveva lei in mente e basta.
Isabella stesa nel suo letto, le gambe aperte e le dita piccole che accarezzavano la pelle.
Aveva sempre amato quando una donna si prendeva cura di lui, ma adorava con tutto sé stesso guardare una donna toccarsi da sola.
Si chiese se Isabella l’avesse mai fatto, se l’avrebbe fatto per lui… e poi con gli occhi chiusi la immaginò.
Le tette perfette per le sue mani, i capezzoli duri e rossi grazie alla sua bocca e le sue dita che si perdevano dentro di lei.
La mano scese al di sotto dei pantaloni da notte e si prese in mano il membro stringendo appena e cominciando a muoversi su e giù, su e giù.
Isabella che chiudeva gli occhi e gettava indietro la testa.
La mano che continuava quel movimento, dal ritmo sempre più deciso.
Le mani di Isabella attorno ai suoi seni, mentre lui leccava le labbra della sua intimità e assaporava i suoi umori caldi.
Era al limite. Si sentiva già fuori di sé e l’ultima immagine che riuscì a visualizzare fu quella del suo pene che entrava e usciva dalla fica di Isabella. E venne. Venne sulla sua mano e sul suo stomaco imprecando a bassa voce.
Meraviglioso.

Incontrarla la mattina dopo nella sala della colazione lo fece sorridere. Si era liberata del tizio e anche se sembrava tremendamente stanca era sempre bellissima.
Era già seduta ma quando si alzò per prendere le pagnottine che tanto adorava la vide zoppicare.
“Lo sapevo” si disse prima di raggiungerla di fretta.
“Buongiorno Isabella!” Lei sussultò e si girò sorridendo.
“Buongiorno a te Edward, è un vizio quello di arrivare alle spalle della gente?” Lui sorrise e scosse le spalle per non rispondere.
“Come stai stamattina?”
“Bene, tu?”
“Bene fino a poco fa… quando ho notato che zoppichi!” Decise di essere sincero e lanciarle un’occhiataccia mentre lei arrossiva.
“Stamattina il piede è un po’ gonfio, ho fatto dei bagni di acqua fredda ma quando passa l’effetto continua a gonfiarsi e fare male… avevi ragione, dovevo riposare ieri!”
Lui scosse la testa e sorrise, avvicinandosi per lasciarle un bacio sulla fronte.
“Vai a sederti, porto io quello che ti serve!”
Lo ascoltò, non volendo farlo arrabbiare né volendo sentire te lo avevo detto!
Aveva dovuto dargli ragione già per il riposo e odiava ammetterlo, la caviglia le faceva davvero male oggi. Probabilmente era un buon giorno per stare ferma a letto. Harold non avrebbe avanzato critiche.
“Come mai Alice non è dei nostri stamane?” Sussultò di nuovo.
“Maledizione Edward! Mi farai venire un colpo al cuore!” Lui ridacchiò piano e prese posto di fianco a lei.
“Alice ha un cliente abbastanza esigente oggi…” Disse lei con un sorrisetto malizioso ed entrambi capirono che Jasper era di nuovo in camera con lei.
Mangiarono in silenzio, nessuno dei due voleva che gli altri sentissero i loro discorsi, così aspettarono che tutti si dileguassero per salire di sopra, insieme.
“Ti aiuto o farai il doppio della fatica e sforzerai il piede.” Le fece passare un braccio attorno al suo collo e la prese in braccio. Non vedeva l’ora di stringerla in quel modo e lei appoggiò la testa sulla sua spalla.
“Beh, così è molto più comodo in effetti!”
Quando arrivarono nel corridoio, vicino alla porta di Bella, la fece scendere perché aprisse con la chiave e poi l’aiutò ad entrare, chiudendo la porta dietro di sé.
Lui rimase sorpreso nel vedere come la camera di Isabella non portasse nessun segno della notte precedente, né lenzuola aggrovigliate, né indumenti per terra. Pareva che lì dentro non fosse successo nulla. Lei intercettò il suo sguardo e prese posto sul letto.
“Non amo questo lavoro. Ma pagano bene ed io voglio farmi una vita fuori di qui prima di diventare poco attraente, spero di trovare marito, avere dei figli e dimenticare questa esperienza.” Prese un attimo il fiato e poi continuò. “Non amando quello che faccio di notte in questo posto, cancello ogni cosa al mattino. Quando lui se ne va tolgo le lenzuola e le lavo, mettendone un paio pulite. Ogni giorno la stessa storia…Ma pagano bene!”
Edward sapeva che qualunque cosa fosse successa in Inghilterra lo aspettava la sua famiglia, lei invece era scappata, non aveva più nessuno.
Si avvicinò di fianco a lei e sorrise accarezzandole il braccio.
“Tu cosa hai fatto ieri sera?” Chiese lei cambiando discorso.
“Oh, non ti piacerebbe saperlo, fidati!” L’occhiata maliziosa che le lanciò non la intimorì perché continuò con il suo interrogatorio.
“Dici? Secondo me invece mi piacerebbe… mi piacciono le tue idee ultimamente!” Si morse il labbro ed Edward sentì il pantalone tirare. Si chiese come fosse possibile, solo con un piccolo gesto.
“Ah si? E dimmi… quale ti è piaciuta di più?” Ormai Edward aveva perso la battaglia con l’autocontrollo, si era avvicinato a Isabella che aveva allargato di poco le gambe e lui se ne stava in piedi fra di esse. Vicinissimo a lei. La testa di lei all’altezza del cavallo dei suoi pantaloni.
Le mani di lei andarono subito dietro le cosce definite di lui, salendo piano mentre non smetteva un secondo di guardare i suoi pantaloni rigonfi che aveva di fronte.
Aveva voglia di sentirlo, di toccarlo, di baciarlo tutto e di leccarlo. Il suo sapore doveva essere meraviglioso.
Senza pensarci troppo si avvicinò e premette le labbra sopra l’asta di Edward. Una volta. Due volte. Tre volte. Le labbra facevano una lieve pressione che Edward percepiva benissimo anche con il tessuto della braga tra di loro. Voleva spogliarsi, voleva sentire quei baci sulla sua carne calda. Voleva che lo prendesse in bocca e lo facesse godere.
“Quella di scoparmi addosso al muro, senza ombra di dubbio”
Le parole arrivarono alle orecchie di Edward mischiate ai suoi stessi ansiti, perché Bella non aveva smesso di baciarlo a quell’altezza.
“Dai Edward, dimmi cosa hai fatto ieri sera…” Gli chiese con voce lasciva aggiungendo le mani a quella tortura che stava conducendo sul corpo del povero uomo.
“Ti sconvolgerei…” Continuò quel gioco lui.
Lei ridacchiò appena sganciando le mollette che tenevano le bretelle che fermavano il pantalone e slacciando il bottone e la cerniera. Lui fremette di aspettativa. Quando gli tirò giù la stoffa del pantalone e dei mutandoni Bella lo guardò a lungo. Aveva ancora la camicia indosso e le braghe calate ma il suo arnese… oh era grosso. Imponente. Riprese con la tortura di prima, questa volta direttamente sulla sua carne.
“Se non mi dici cosa hai fatto ieri sera… continuo a torturarti in questo modo!”
“E cosa fai se te lo dico invece?”
“Potrei premiarti… magari succhiandotelo fino a farti venire nella mia gola.”
Stava utilizzando le sue doti da… ragazza del Moulin Rouge per farlo cedere, per farlo scoppiare, per farsi prendere in mille modi dentro quella stanza.
“Oddio!”
“Allora?” Chiese Bella dopo gli ennesimi minuti passati in silenzio senza avere una risposta.
“Mi sono toccato, mi sono toccato pensando a te… alle tue mani… al tuo corpo!” Sbottò lui, pronto per avere il premio che agognava.
Lei sorrise appena e lo guardò, staccandosi da lui.
“Ehi… avevi promesso un premio!” Isabella sghignazzò e gli fece l’occhiolino.
“Ho pensato che… prima potremmo essere completamente nudi, che ne pensi?”
“Dico che le tue idee mi piacciono molto, donna!” Scalciò i pantaloni di lato e sfilò la camicia senza sbottonarla, si accertò di chiudere la porta a chiave mentre Bella toglieva le scarpe e gli mostrava la schiena. Si avvicinò silenziosamente e le slacciò il bustino in gran fretta gettandolo di lato, poi sbottonò la quindicina di bottoni che teneva il vestito chiuso sulla schiena e neppure glielo tolse completamente prima di afferrare i suoi seni e stringerli.
“Sono perfetti!” Mormorò mordendole la spalla.
“Sono troppo piccoli invece…” Edward le lasciò un altro morso.
“Non dirlo mai più… sono perfette!”
Scese con le mani lungo il busto e fece scendere il vestito dalle gambe, insieme all’intimo, lasciandola completamente nuda di fronte a sé.
Si prese un attimo per osservarla, mentre lei pensava di impazzire.
Il sedere sodo e alto, le gambe lunghe e snelle, la pancia piatta e il seno perfetto… poi arrivò ai suoi occhi e le sorrise.
“Sei bellissima…” Fece per avvicinarsi ma lei piazzò un braccio tra di loro e scosse la testa.
“Oh no… ti avevo promesso un premio!” Disse mettendosi in ginocchio.
Isabella si avvicinò al suo membro, prendendolo in una mano e stringendo appena, un sibilo dalla gola di Edward si liberò nella stanza. Si avvicinò con la bocca e lasciò piccoli baci come aveva fatto prima, per poi iniziare a lambirlo con la lingua ascoltando i gemiti che nascevano da Edward. Quando le dita di lui si infilarono tra i suoi capelli lo prese in bocca.
Le labbra si strinsero attorno alla sua circonferenza e, tenendosi alle cosce di lui, prese a muoversi su e giù per tutta la lunghezza.
Edward si sentiva in estasi, la bocca di Isabella era magnifica, il ritmo era perfetto e le unghie di lei che ferivano la pelle delle cosce aggiungeva eccitazione a quel momento.
I ringhi che uscivano dalla gola di Edward erano lo stimolo per Bella a continuare. Teneva gli occhi aperti, lo guardava mentre lui gettava la testa indietro e gemeva.
I suoi “Aahh” con voce bassa e roca le stavano rendendo difficile continuare.
Voleva sentirlo.
Voleva le sue mani su di lei.
Desiderava che le dita si immergessero dentro di lei e la facessero urlare di piacere.
Edward sentiva di essere quasi al limite, non ce la faceva più a resistere così, con le mani tra i capelli della donna inginocchiata davanti a lui, fece pressione per spostarla all’indietro. Lo sguardo di lei confuso e il suo pene lucido della sua saliva. Avrebbe voluto riavvicinarla e spingere fino ad arrivarle in gola e liberarsi, ma voleva essere dentro di lei.
Le sorrise e le porse la mano per farla alzare guidandola poi verso il letto, la spinse leggermente in modo che cadesse tra le lenzuola teatralmente ridacchiando insieme a lei.
Era così semplice, era tutto così dannatamente facile con lei. I sorrisi, nessun imbarazzo, nessuna volgarità.
Si piegò sulle gambe e si inginocchiò davanti a lei, afferrò le sue gambe e le mise sopra le sue spalle tirando un po’ il suo corpo fino ad arrivare con il volto a poca distanza dal suo centro caldo. L’odore della sua eccitazione lo mandava in bestia. Voleva divorarla, farla urlare, essere una furia e invece si avvicinò lento, soffiandoci appena facendola sussultare.
Una mano la teneva sul sedere, l’altra le accarezzava una gamba.
La lingua trovò subito il suo posto tra le pieghe della sua intimità e cominciò a muoverla lentamente, assaporandola e guardandola mentre con le mani si accarezzava i seni.
La sua fantasia.
Prese di mira quel piccolo bottoncino che aveva notato essere molto sensibile e mosse la lingua in circolo con una lieve pressione. Bella si contorceva, si strizzava le tette tra loro, pizzicando i capezzoli e inarcando la schiena. L’uomo che si trovava tra le sue gambe usava la lingua in modo delizioso.
Le dita che erano sulla sua gamba arrivarono al centro di lei, ne infilò prima uno e poi il secondo in un movimento costante. Dentro. Fuori. Dentro. Fuori. Edward sentiva gli umori di Bella e le pareti che si stringevano attorno alle sue dita, accompagnò il movimento della mano con più pressione della lingua e la sentì gemere forte e pulsare attorno a lui. Non vedeva l’ora di sentire le stesse sensazioni sul suo membro.
Ci mise un attimo a raggiungerla e spostarla in una posizione più comoda sul letto per poi entrare in una volta sola dentro di lei.
“Edward!” Eccitazione e sorpresa si mischiarono nella sua voce e lui le sorrise.
“Scusa piccola!”
“Non… non ti scusare!” Riuscì a rispondere tra le spinte poderose.
I grugniti di Edward nel suo orecchio la stavano portando velocemente al limite, aveva circondato la vita dell’uomo con le sue gambe e stringeva le sue spalle perché rimanesse addossato al suo corpo. La sensazione della loro pelle a contatto era meravigliosa. I brividi che la sua bocca e la sua lingua sul collo le provocavano non li aveva mai sentiti.
“Voglio… voglio vederti!” Esclamò lui. Si tirò indietro senza uscire da lei e con le ginocchia poggiate al materasso riprese a spingere. La nuova posizione gli permetteva di guardare il suo cazzo che entrava nella fica bagnata di lei e lo eccitava fino a spingerlo al limite.
“Non so quanto durerò ancora…” Grugnì mentre non sapeva se guardare il suo volto in estasi o le sue tette che si alzavano e si abbassavano seguendo il movimento dei loro bacini, o ancora gli umori di lei sul suo membro.

Mentre era concentrato sul suo corpo sentì le dita di lei intrufolarsi nella sua bocca, dopo un piccolo momento di smarrimento le succhiò e le leccò sentendosi su di giri per quel gesto. E lei lo stupì. Tolse le dita dalla sua bocca e le infilò nella sua per qualche secondo per poi portarle sopra i loro corpi uniti e toccarsi. Il bottoncino sensibile sotto le sue dita scomparve ma le pareti di Bella si strinsero attorno al suo cazzo.
Non riusciva a credere ai suoi occhi, l’immagine l’avrebbe perseguitato a vita.
Esplose dentro di lei, riversando il suo seme caldo mentre le sue pareti si stringevano e pulsavano attorno al suo membro. I loro gemiti si confusero insieme, il sudore della loro pelle si fuse e il corpo di Bella prese a tremare quando la sentì venire attorno a lui.
Collassò sul suo corpo stringendo i suoi fianchi e le dita di lei si intrufolarono tra i suoi capelli umidi di sudore.

Nessuno dei due si rendeva conto del tempo passato, Edward aveva afferrato il lenzuolo e aveva coperto i loro corpi nudi e stanchi, sudati e appagati. Non avevano ancora aperto gli occhi, chiusi nella loro bolla di piacere e soddisfazione.
Quando alzarono lo sguardo, uno negli occhi dell’altra, si resero conto di quanto la situazione gli fosse sfuggita di mano. Entrambi provavano dei sentimenti, qualcosa che non si potevano permettere. Almeno così la pensava Isabella, temeva che potesse essere un ostacolo alla sua libertà ed era pronta a raffreddare e riprendere le distanze quanto prima. Ma nel momento in cui aprì bocca per cacciarlo dalla sua camera lui la sorprese.
“Vieni in Inghilterra con me, permettimi di prendermi cura di te, di darti una vita rispettosa, senza essere costretta a venderti per vivere!”
Lo disse serio, convinto di avere trovato la donna della sua vita. Suo padre era stato costretto a sposare sua madre, Esme, quando entrambi erano molto giovani; erano finiti poi per amarsi negli anni, nessuno dei due aveva tradito l’altro, nonostante il matrimonio fosse nato da accordi tra due famiglie. I suoi genitori erano l’esempio, per lui, che nella vita si poteva costruire qualcosa di bello e duraturo nel tempo giorno dopo giorno, anche se all’inizio mancano le basi. Voleva togliere Isabella da quel posto sporco e immorale, voleva darle la possibilità di essere felice e spensierata, voleva sposarla, averla per sé tutte le volte che voleva, voleva innamorarsi perdutamente di lei, un giorno dopo l’altro.
“Edward… la tua proposta è davvero allettante ma… rischiosa. Non posso permettermelo, non so fare nulla se non ballare e vendere il mio corpo, inoltre non posso lasciare mia sorella qui, da sola!”
L’aveva sorpresa con quella domanda e per quanto in cuore suo sperava di vedere l’abito bianco e i fiori attorno a loro, un banchetto meraviglioso, una casa e pargoletti contenti che scorrazzavano attorno alla tenuta, sapeva di non poterselo permettere. Sarebbe stato bello sposarsi con Edward, avrebbero avuto qualcosa in più di un matrimonio solo per necessità, ma cosa poteva offrirgli, e lui cosa le poteva offrire?
“Torneremo in Inghilterra tutti e quattro, io, te, Jasper ed Alice! Non dirmi di no!” La pregò.
Lei sorrise mesta e scosse la testa, un profondo senso di delusione coinvolse tutti gli organi interni di Edward, gli occhi bruciarono e le mani tremarono per la rabbia e la tristezza di quel rifiuto silenzioso. Si alzò dal letto, indossò gli abiti velocemente e uscì dalla camera per non farne ritorno.
Era tempo di tornare in Inghilterra.





Six years later…


“Marie non correre!” La voce di Edward era forte ma patinata di un’allegria che nessuno riusciva a comprendere.
“Ma papi è Paul che vuole fare una gara! Perché non rimproveri anche lui?” La bambina puntava i piedi e incrociava le braccia ogni qualvolta riceveva un richiamo. I due gemelli di cinque anni erano davvero tremendi, in casa non c’era mai un attimo di tranquillità quando quei due erano svegli.
“Riprenderò anche Paul quando si fermerà, e pregate di non farvi male o sgualcirvi gli abiti, vostra madre potrebbe davvero arrabbiarsi e non farvi il dolce per la vostra festa, oppure nascondere tutti i regali!” La piccola aveva sgranato gli occhi e in panico era andata a fermare il fratello spiegando a modo suo, confabulando cioè, che la madre gliel’avrebbe di certo fatta pagare.
“Spiegami perché Isabella non è con noi questo pomeriggio…” La voce del suo amico di infanzia nonché suo cognato, Jasper, gli fece togliere lo sguardo dai bambini che ora camminavano mano nella mano sul prato diretti al punto vicino al fiume dove avevano deciso di passare il loro pomeriggio.
“Bella è già lì che ci aspetta, ho preferito non farla stancare e farla accompagnare con l’automobile di mio padre. Alice, tu come ti senti invece?”
“Benissimo, le nausee sono passate del tutto e questo piccolo diavoletto di tanto in tanto scalcia e mi tiene compagnia quando Jazz è impegnato con il lavoro!”
Le chiacchiere non terminarono, ad un certo punto però Edward si escluse dai discorsi intravedendo la figura di sua moglie, seduta sul grande prato, su di un telo grande pronto ad accogliere tutti loro. Era meravigliosa, bellissima e i raggi di sole che si infrangevano sul suo viso la rendevano quasi una creatura divina. Tornò con la mente ad un passato che sembrava così lontano, che gli fece nascere un sorriso meraviglioso sul volto.


“Edward! Aspetta Edward! Ti prego, fermati!” Lo chiamava a gran voce per il corridoio, teneva stretta la sua vestaglia e i piedi nudi stavano raccogliendo troppe schegge dal pavimento, ma non si fermava. “Edward, ti prego, fermati!” Ma lui non la volle ascoltare e una volta entrato in camera chiuse la sua porta sul viso di Isabella.
“Maledizione!” Imprecò sottovoce. Si era lasciato andare e il risultato era un rifiuto secco, non avrebbe mai pensato un risvolto del genere.
“Edward, apri, te ne prego… Fammi parlare, ascoltami!” Afferrò il suo bagaglio da sotto il letto e aprì l’armadio per raccogliere i suoi averi e tenersi pronto a tornare a casa. “Edward!” Sentì solo il sussurro del suo nome misto ai singhiozzi di Isabella. Stava piangendo. Corse ad aprire la porta, toccato da quei lamenti. “Oh, finalmente! Non mi hai lasciato modo di spiegare…”
“Cosa c’è da spiegare? Sei stata piuttosto eloquente!” La rabbia non si era affievolita neppure un pochino. Lei scosse di nuovo la testa ed avanzò dentro la stanza, chiudendosi la porta alle spalle e facendo un giro di chiave.
“Mi ami Edward?” Gli chiese a bruciapelo. Gli occhi di lui schizzarono nei suoi, sorpreso, allibito, stupito da una domanda così diretta, ma non poté rispondere perché lei attaccò con la sua filippica senza lasciarlo replicare. “Perché io credo di amarti, sento il cuore che batte forte e lo stomaco che si stringe ogni volta che qualche donna ti si avvicina o quando tu dai attenzioni a Tanya o altre ragazze qui. Quando mi sfiori rabbrividisco e prima… è stata l’esperienza migliore della mia vita. Credo di amarti, ma se tu non provi nulla per me, allora non costringermi a lasciare questa vita per seguirti e darmi una vita che sarà comunque infelice. Sarei infelice senza un uomo che mi ama. Per cui… mi ami Edward?”
Non c’erano risposte possibili, si era solo avvicinato e l’aveva presa in braccio per poi avvicinarsi al muro della sua camera e iniziare a baciarla selvaggiamente.


Avevano fatto l’amore in mille modi quel giorno e tutta la notte. Solo all’alba lui la voltò tra le sue braccia e tra i baci le sussurrò decine di volte “Ti amo”, mentre le mani correvano sulla sua pelle in carezze dolci e amorevoli. Da quel giorno, Isabella rifiutò gli uomini che la reclamavano, ormai presa completamente da un unico uomo che passava la notte con lei, nel suo letto. Tre settimane più tardi avevano preso il treno per tornare in Inghilterra: lui, Isabella, Jasper ed Alice.
Presentò la sua donna ai suoi genitori, che lo rimproverarono per il modo in cui aveva lasciato la casa mesi prima, ma che si dimostrarono entusiasti dell’uomo che era diventato. Si sposarono dopo soli due mesi, condividendo una giornata meravigliosa.
Comprarono una piccola casetta, con un giardino su cui fecero costruire un’altalena e un grande porticato per i pranzi estivi all’aria aperta. Inaugurarono tutte le superfici disponibili della loro nuova dimora, dichiarandosi il loro amore ripetutamente.
Quasi un anno più tardi erano nati Paul e Marie, due gemelli; identici nel carattere, diversissimi nell’aspetto: Marie aveva preso i capelli rossicci di Edward e gli occhi verdi, Paul gli occhi scuri e i capelli color cioccolato di Isabella. Erano due bambini meravigliosi, e a breve sarebbe nato il loro terzo bambino, per quello Isabella doveva stare tranquilla e non fare sforzi.

Si avvicinò a lei, prendendo posto al suo fianco mentre i bambini continuavano a gridacchiare attorno agli zii cercando di carpire informazioni per i loro regali.
“Sei splendida, moglie!” Le sussurrò nell’orecchio, evitando di farsi sentire dalle altre orecchie a fianco a loro.
“Anche tu marito, davvero bellissimo!”
“Hai una luce diversa negli occhi, sembri più… rilassata oggi!” Disse mentre lasciava un bacio sul collo della sua donna. Lei sghignazzò e pizzicò il dorso della mano di Edward che stava salendo sulla sua coscia, sotto il vestito.
“Più che rilassata, direi soddisfatta! Questa notte sono stata scopata a dovere!” Lui si era ritirato e l’aveva guardata con finto orrore.
“Isabella! Cosa sono questi termini?” Non riuscì a mantenere troppo il suo cipiglio scontroso sul volto e scoppiò a ridere cercando di non incuriosire i presenti.
“Finalmente ieri sera ho compreso il motivo delle tue premure. Tu vuoi che io non mi sforzi, che non sollevi pesi, che addirittura non faccia molti passi perché potrei stancarmi… Solo per potermi stancare a dovere tu, in camera nostra!” Edward mordicchiò la sua spalla e non rispose, era davvero così. Se si fosse stancata durante la giornata la notte sarebbe stato rischioso fare l’amore con lei e non voleva, preferiva impedirle di affaticarsi durante il giorno e perdersi tra le sue pieghe calde di notte.
“Non rispondi marito? Devo supporre di avere c’entrato il punto?” La mordicchiò ancora una volta e lei sghignazzò tirandogli appena i capelli per farlo spostare dalla sua scollatura, per poi avvicinare il suo orecchio alle sue labbra e sussurrare roca. “Spero tanto di avere ragione, perché ho tutta l’intenzione di non stancarmi oggi, ma ripetere l’esperienza di ieri sera ancora e ancora. Voglio che mi prendi con passione, che tu mi faccia perdere il senso di dove sono, che le mie carni brucino dal dolore perché sei passionale e voglio sentirti godere mentre mi mordi perché non resisti.”
Quelle parole l’avevano gettato nell’oblio dei ricordi ed eccitato chiuse gli occhi per mantenersi calmo, ma la mente lo fece tornare alla sera precedente.


Era entrato nella loro camera dopo aver rimboccato le coperte ai suoi due angeli, ed ora aveva una disperata voglia di stare con sua moglie e stringerla tutta la notte. Isabella se ne stava sul letto, completamente nuda, con le gambe incrociate e la schiena appoggiata alla testiera del letto. Il pancione in bella vista tondo, liscio, dove cresceva l’ennesimo frutto del loro amore. Ma era nuda e lo aspettava con una fascia scura tra le mani.
“Bella…” Riuscì solo a mormorare avanzando nella camera dopo aver chiuso la porta a chiave.
“Shhh… stasera facciamo a modo mio!” L’amava profondamente quando prendeva l’iniziativa. “Voglio che mi bendi, non voglio vedere, voglio assaporare ogni emozione, ogni sensazione…” Non se l’era fatto ripetere due volte. Aveva tolto i suoi vestiti e l’aveva raggiunta sul letto, legando la benda sopra i suoi occhi e impedendole di guardare oltre.
“Fermami quando vuoi…” Sperava di non fare male al bambino per quello che aveva in testa, mentre Isabella si sentiva su di giri per quella nuova esperienza.
Le distese le gambe e poi ci si piazzò nel mezzo, mentre con le mani le accarezzava il collo, le spalle, le braccia, per poi proseguire sui seni e perdersi a giocare con quei due bottoncini rosa che amava succhiare fino a farla gridare. La bocca aveva seguito il percorso delle sue mani, lentamente. I gemiti di sua moglie si liberavano sussurrati dalle sue labbra e lui voleva vederla in preda alla follia del piacere. La fece stendere cominciando a toccarla con meno delicatezza, facendo pressione sulle cosce e sulle natiche, mentre la sua bocca si occupava di mordicchiare e leccare i suoi capezzoli, come se da quello dipendesse la sua vita. I rumori che uscivano dalla gola di Isabella si fecero più profondi, più rochi. Si inginocchiò tra le sue gambe, la bocca ad un centimetro del suo centro caldo e pulsante, le mani a tenere separate le gambe e permettergli di vedere la sua fica esposta e bagnata dai suoi umori, con quei pochi riccioli scuri che lo facevano impazzire. Si avvicinò fino a quando le sue labbra non incontrarono la sua pelle morbida e si perse nel toccare, leccare e assaporare la sua carne e i suoi umori. Sentiva fra le gambe dolore per la troppa eccitazione.
“Oh si, continua…si, oh…” Non riusciva a fermarsi, voleva entrare dentro di lei e sentire la sua pelle ricoprirsi di brividi gli diede la spinta finale per decidere. Entrò dentro di lei con una spinta forte e decisa, facendola gridare. Non voleva farle male e così le aveva sussurrato nelle orecchie se fosse tutto a posto, lei in risposta aveva allungato le mani sul suo sedere per intimargli di continuare quel movimento. Riprese a muoversi, tenendo gli occhi chiusi e sentendo ogni cosa. Le dita di lei sulla sua pelle, i loro corpi che sudavano e sbattevano fra di loro, il calore della sua cavità che si stringeva attorno al suo membro… quando Isabella gli leccò la spalla, il collo, per poi arrivare a baciare le sue labbra con passione non riuscì a tenersi; prese a spingere più forte, mentre i gemiti di entrambi si spegnevano tra i loro baci.
Sentì le unghie di lei infilarsi nella carne delle sue spalle e seppe che stava per venire, un attimo dopo le sue pareti si strinsero attorno a lui portandolo sempre più vicino all’obliò. Si lasciò andare, la passione scoppiò in ogni sua cellula, la mente completamente staccata dal resto del corpo, viaggiava libera e leggera. Si staccò dalla sua bocca per permetterle di respirare e mentre si liberava in lei con le ultime spinte poderose le morse la spalla con forza, fino a lasciarle un segno rosso dei suoi denti.
Le tolse la benda e l’abbracciò stretta.


Sorrise tra sé e sé a quelle immagini che vorticavano nella sua testa.
La scintilla si accese una sera di molti anni prima all’interno di un bordello, le loro vite si erano incrociate per puro caso o forse per destino. Dovevano ringraziare il fato per averli fatti incontrare e quell’esplosione di attrazione e sentimenti che ancora si portavano dietro dopo anni, per rendere così magica ogni giornata delle loro vite.

“Ehi Edward, tutto bene?!” Chiese lei dolcemente.
Le sorrise, guardandosi un attimo attorno, per essere sicuro che nessuno fosse in ascolto o interessato a loro due. Si piegò verso il suo orecchio e sospirò.
“Penserò a fare stancare molto i bambini, in modo che anticipino l’ora della nanna… Non vedo l’ora di prenderti ancora e ancora… tutta la notte. Finché non mi implorerai di darti una pausa.” Mentre parlava nel suo orecchio le prese la mano e lentamente la portò fino al cavallo dei suoi pantaloni, per farle sentire quanto fosse grande il desiderio di lei.
“Oh marito! Non vedo l’ora!”
Il baciò che seguì, un incontro di labbra, lingue e sospiri e fu solo l’anticipazione per quello che molte ore dopo si svolse in camera da letto.


Fine.